Suoni oscuri, mediterranei ed internazionali insieme, per il chitarrista di Marta sui Tubi, O.R.K. e Dunk
A distanza di due anni da Cornucopia (La Fabbrica, 2018), il ritorno di Carmelo Pipitone con Segreto pubblico (Blackcandy Produzioni, 2020) è una boccata d’aria fresca nell’oscurità di suoni avvolgenti, duri e dal sapore internazionale. Co-fondatore dei Marta sui Tubi e membro di O.R.K. insieme a Lorenzo Esposito Fornasari (produttore artistico dei suoi due dischi solisti), Colin Edwin dei Porcupine Tree e Pat Mastelotto dei King Crimson, ma anche membro dei Dunk insieme a Luca Ferrari dei Verdena e ai fratelli Ettore e Marco Giuradei, Pipitone mette la sapienza guadagnata dalle sue esperienze nazionali e internazionali al fianco di una sensibilità artistica notevole, sfornando uno dei lavori migliori di questo 2020.
Lo abbiamo intervistato nel giorno in cui usciva il suo Segreto pubblico, col quale richiede, a ragione, tutta la nostra attenzione.
Oggi esce Segreto pubblico, e non mi capita tutti i giorni di intervistare un artista nel giorno di pubblicazione del suo disco, come ti senti?
Mi sento felice, ma al tempo stesso triste, perché è la prima volta che mi capita una cosa del genere, cioè fare uscire un disco e non riuscire a promuoverlo come Dio comanda. Di solito questa è una giornata dedicata sì alle interviste, ma ci si prepara anche emotivamente alla situazione live, che è lo sfogo, fra virgolette, dell’artista. C’è la frustrazione di non poter far sentire dal vivo il disco e purtroppo ce la dobbiamo un po’ tenere. È come toccarsi un livido quando ti sei fatta male, capisci? Hai quella cosa che è lì, lo sai che ti fa male, ma ogni tanto col dito vai a tastare.
Cornucopia si concludeva con un bellissimo strumentale, Sospeso, brano che ha anche dato il titolo al tour che hai intrapreso nell’autunno del 2018 e di cui su ExitWell ho parlato quando hai suonato a Le Mura a Roma.
(Leggi il livereport del concerto di Carmelo Pipitone qui).
Segreto pubblico inizia con un altro strumentale, Intro, e sembra riprendere il filo interrotto da Sospeso. Inoltre, nel tuo esordio un brano si intitolava Vertigini a cuore aperto, qui invece Vertigini in mare aperto. Cosa lega i tuoi due dischi e cosa li separa?
Finalmente qualcuno se n’è accorto! Guarda, il primo disco è stato un esperimento: volevo fare qualcosa di veramente mio e a Lorenzo Esposito Fornasari, che ha prodotto anche Segreto pubblico, avevo detto di avere delle canzoni che non appartenevano né ai Marta sui Tubi, né agli O.R.K. né ai Dunk, ed erano per chitarra e voce e molto sperimentali. Era un esperimento che si chiudeva con la possibilità, rappresentata da Sospeso, di un’evoluzione della musica che avrei comunque continuato a fare.
Segreto pubblico si apre con un altro strumentale che è sostanzialmente il legante fra i due dischi, quindi hai detto benissimo, e serve a dire “sì, sono un chitarrista, io faccio questo percorso, concentratevi, perché ora vi sto portando da un’altra parte”.
Vertigini in mare aperto era nata molto prima rispetto a Vertigini a cuore aperto, che è invece presente nel primo disco. L’ho ritrovata e l’ho voluta ripescare, tenendo il titolo originario, perché la storia è una sorta di allegoria legata alla vita di un marinaio, senza la terra ferma sotto ai piedi. Volevo parlare dell’instabilità e credo di esserci riuscito.
L’oscurità in questo disco è tangibile, i suoni sono avvolgenti e trascinanti e le atmosfere ben delineate. Tutto ciò espresso con una potenza rock di altissimo livello. Che lavoro c’è stato dietro?
Intanto io ti voglio bene, perché vai a toccare delle corde molto importanti per me. C’è stato un lavoro certosino, e i suoni non sono mai stati scelti casualmente, anzi spesso e volentieri abbiamo perso delle ore per quelli di un banalissimo rullante, ad esempio. Volevo che si respirasse un po’ di buio e oscurità, ma al tempo stesso volevo suoni internazionali. Volevo guardare un po’ oltre e vedere se si potessero sposare bene queste due esperienze, la mia, tipicamente mediterranea, con la parte più esotica di questo processo.
Avrai notato pezzi siciliani che suonano in maniera internazionale, ecco, era quello che volevo fare, non la macchietta di un siciliano che canta nel proprio dialetto, nella propria lingua. Quando ne ho parlato con Lorenzo, lui mi ha spiazzato dicendomi “mi piacerebbe” – ad esempio nel caso de Le mani di Rodolfo – “spostarci, se ti fa piacere, in zona David Bowie” e l’immaginario era esattamente quello che avrei voluto intraprendere anche io. Queste sono le collaborazioni che funzionano perché si ha a che fare con una sorta di prolungamento della propria mente. Lorenzo non è soltanto un mio amico, ma vede come me e forse anche meglio.
Mi sembra che rispetto a Cornucopia tu abbia fatto un lavoro diverso sull’interpretazione dei brani, mi sembri più intenso, come se cantassi a cuore aperto. Anche in questo caso ti chiedo che lavoro è stato fatto?
In questo caso ho dato più risalto alla parte dei testi, non che non fosse importante in Cornucopia, però volevo essere più me stesso, senza troppi fronzoli ed elucubrazioni e senza incasinarmi volontariamente. In questo caso volevo tra virgolette rilassarmi, quindi ho iniziato a scrivere di getto e senza nessun filtro. Certo, ci sono stati input molto importanti, ad esempio degli articoli di giornale letti in passato riguardanti omicidi, ma poi tutto ha preso una direzione molto naturale. I temi trattati sono l’amicizia che viene a mancare, il femminicidio e l’omicidio in generale, insomma la parte più cupa di sé stessi.
In Gabriè canti “Lassatimi sunare chi m’addivetto, chi tanto c’è tempo pì travagghiare” e devo ammettere che l’ho sentita molto in linea con i famosi tempi che corrono. Quando nasce questo pezzo e perché hai scelto il siciliano in questa canzone che poi è diventata anche il tuo secondo singolo?
(Guarda il video di “Gabriè” qui)
Gabriè è uno dei brani sulle amicizie che vengono a mancare. Questa canzone nasce un po’ di tempo fa ed è stata scritta pensando a questo mio carissimo amico, Gabriele Sammartano, il classico jolly della situazione, il più tranquillo del gruppo e che sistemava ogni situazione. Aveva sempre una frase geniale e lo vedevamo come una specie di piccolo Peter Pan che non vuole crescere, e così ha fatto, solo che all’epoca non ci eravamo resi conto che aveva ragione. Lo abbiamo fatto a distanza di anni, col senno di poi, quando è venuto a mancare. Lui aveva la verità in mano e la giusta maniera di affrontare la vita.
Con questa canzone ho voluto omaggiare questo ragazzo e il testo parla di cose che ci dicevamo a quei tempi, citando letteralmente alcune delle sue uscite geniali. Sono i ricordi delle nostre conversazioni, cose ermetiche e anche un po’ strane.
A marzo ho intervistato per ExitWell Giovanni Gulino, in occasione dell’uscita del suo album d’esordio Urlo gigante, e mi aveva raccontato che hai suonato in diversi pezzi. Gli avevo chiesto quanto dei Marta sui Tubi ci fosse nel suo disco, perciò lo chiedo anche a te: quanto di loro c’è nel Carmelo Pipitone solista?
I Marta sui Tubi nascono da me e da Giovanni, quindi è inevitabile che nei miei lavori da solista ci sia una grossa parte dei Marta e immagino che Giovanni abbia detto la stessa cosa. Nel frattempo, però, siamo anche cresciuti, c’è stata un’evoluzione artistica e per certi versi anche intellettuale che ci ha fatto modificare la direzione, nonostante ciò credo che ci sia una grossa parte del mio passato in questo lavoro e penso che ci sarà sempre.
Pubblicare un disco in questo momento storico immagino non sia una scelta facile, soprattutto perché non c’è la possibilità, ora come ora, di promuoverlo dal vivo. Come pensi di ovviare a queste difficoltà?
Con molta pazienza, nel senso che si attende che le cose si possano sbloccare, e nel frattempo cercare di organizzarci in un’altra maniera. Ora sono in fase promozionale, quindi oltre alle interviste ci saranno dei mini-live in rete e delle interviste video. Al tempo stesso però anelo a quel momento in cui tutto tornerà come prima, perché per quanto mi riguarda l’aria si respira solo su un palco.
Un’ultima domanda, cosa c’è in programma per il futuro di O.R.K., Dunk e Marta sui Tubi?
Per quanto riguarda i Dunk, sta nascendo qualcosina proprio in questi giorni, ma nulla che possa anticipare. È un progetto attualmente molto molto vivo, soltanto che come tutti i progetti che comprendono musicisti che hanno anche altri progetti, per esempio Luca Ferrari dei Verdena, ogni tanto bisogna rallentare. In questi giorni poi saprai di cosa sto parlando.
Per quel che riguarda gli O.R.K., l’unica cosa positiva di questa cazzo di pandemia è che abbiamo chiuso un disco a distanza, che altrimenti avremmo definito tra un annetto, invece ci siamo portati avanti e adesso si aspetta il via libera per farlo uscire, ma credo comunque l’anno prossimo. Si aspetta anche che si sblocchi la situazione per andare a suonare dal vivo, perché con loro si tratta di girare tutto il mondo, e per farlo è davvero necessario lasciarsi alle spalle il problema.
I Marta invece sono in stand-by, perché ognuno di noi sta facendo anche altro.
Carmelo Pipitone