– di Lucia Tamburello –
La musica non può non essere travolta dagli effetti del lockdown che negli ultimi due anni continuano a farsi sentire in qualunque campo. Se dal lato economico la pandemia ha tagliato totalmente le gambe a tutti gli operatori del settore musicale, dal punto di vista compositivo è stata una fonte d’ispirazione per molti artisti che sono riusciti a mettere in pausa il mondo esterno per concentrarsi sulle proprie emozioni e sull’intimità delle persone anziché sul concetto di gente. Se gli strambi e surreali fattori esterni e la grande indagine dell’Io si uniscono alla particolare riflessività che solo la solitudine della provincia più remota sa dare, viene fuori un album profondo come “Metri quadrati”, l’ultima uscita di Carlo Valente.
Si tratta disco che sussurra ad un mondo che urla, ma che non ha troppe pretese dal punto di vista compositivo. Con estrema naturalezza riflette i canoni classici del pop e del cantautorato italiano per svelare con destrezza gli aspetti più reconditi dell’uomo. La sua complessità risiede in una fine introspezione, nelle riflessioni nascoste dietro a parti di chitarra semplici e ritornelli cantabili.
Dal punto di vista melodico, al di là della prima traccia “Mentre qualcuno nasce a Belgrado” e della title track che hanno una sezione ritmica un po’ più movimentata, tutti gli altri brani sono attraversati da un clima allentato, spezzato solamente dai synth.
Sono particolarmente interessanti le parti elettroniche di “Botero” e della cover del famoso capolavoro del Principe “Disastro aereo sul canale di Sicilia”, tuttavia molti pezzi sembrano arrivare direttamente dall’Ariston portandosi con sé gli stereotipi del mainstream italiano. “Due righe”, ad esempio, è un vero e proprio pezzo sanremese con l’accompagnamento tradizionale al piano e il tipico crescendo di archi nel ritornello. Anche “Corpi Celesti” non è da meno, con una chitarra acustica che fa da protagonista e un testo incentrato su una dichiarazione d’amore. Neanche “La vita non vista”, scritta con Pino Marino, riesce a svincolarsi dai luoghi comuni del bel canto.
I “Metri quadrati” di Carlo Valente hanno diversi piani, è un lavoro molto stratificato. Per quanto possa apparire un disco con un linguaggio semplice possiede molte chiavi di lettura come la buona poesia. Non è un disco totalmente ermetico, ma tantomeno adatto ad un ascolto superficiale. È complesso, ma non complicato. Purtroppo questo aspetto letterario non si è riflesso nell’arrangiamento.
È un disco curato nei minimi dettagli, ben prodotto, però privo di elementi innovativi, non rispetto la discografia di Valente, ma considerando il livello di sperimentazione della discografia moderna. Gli anni ’60 sono finiti e un buon testo, sfortunatamente, non è più sufficiente per fare una buona canzone.