– di Giacomo Daneluzzo –
Maddai è il titolo del secondo EP di Claudio Caponetti, in arte solo Caponetti, uscito per Carosello Records con la produzione di Gianmarco Manilardi e Katoo. L’EP che ha segnato l’esordio del cantautore marchigiano, Tutti contro tutti, un’autoproduzione che risale al 2015 e che ha portato Caponetti a esibirsi in tour, è un lontano ricordo. Sono passati gli anni e Caponetti oggi rinasce discograficamente con Maddai, che risulta essere quasi un secondo esordio, sicuramente più consapevole e maturo, ma senza rinunciare a una grande spontaneità lirica.
La produzione è sicura e variegata, a tratti citazionistica nei confronti di idoli del passato come Beatles e Red Hot Chili Peppers, che Caponetti comunque non nasconde essere tra i suoi riferimenti stilistici. Le basi non si assomigliano mai e il tessuto sonoro è eterogeneo e ben strutturato; il filo conduttore dell’EP risiede in ogni caso nei testi, un alternarsi di registri alti e bassi, tra l’erudito cantautorale e il popolare della nuova scuola di pop nostrano, ma con una consapevolezza lirica non così comune nelle uscite contemporanee. Nelle frasi, forse apparentemente semplici, di Caponetti si può leggere molto di più, si può leggere la provincia e la città, la noia e l’euforia, Ascoli Piceno, terra d’origine del cantautore, e Milano, città d’approdo, le ombre e le luci di un animo sfaccettato.
Con Maddai Caponetti si confronta con se stesso, con le proprie ombre, con i suoi idoli e i suoi fantasmi. La frenesia della metropoli lombarda, patria d’adozione del cantautore, permea le tracce dell’EP, nel suo continuo oscillare d’animo, nel suo apparire in uno stato di costante ricerca eudemonistica, ma senza dimenticare le radici ascolane; del “mood” di Ascoli Caponetti fa un ritratto affettuoso e molto personale, quasi ermetico, in Ascoli FC, in cui la squadra calcistica è pretesto per parlare di una ben precisa parte di sé.
Maddai è la sorpresa, è un’esclamazione enfatica (ed enfatizzata ulteriormente dalla resa grafica del raddoppiamento fonosintattico della d), uno stupore nei confronti della vita e degli infiniti stati d’animo che può portarci ad attraversare. L’EP si apre e si chiude con la stessa malinconia, da Google Maps a Solo, lasciando in mezzo lo spazio per tutto il mosaico interiore dell’autore, accessibile attraverso diversi piani di lettura. Sicuramente c’è il malessere, che non è sbagliato dire che caratterizza il sentire comune e di conseguenza la produzione artistica di questi tempi; ma Caponetti riesce a non fermarsi lì, a superare il nichilismo passivo dell’indie pop e proporre un bagliore di speranza, un’alternativa possibile al disagio, che s’intravede nei dettagli poetici scelti per rappresentare ognuno dei cinque testi dell’EP.