– di Assunta Urbano –
Lei, Paola Mirabella, originaria di Catania e d’adozione bolognese. Fa il suo ingresso nel panorama musicale con la band Honeybird & The Birdies, mescolando sonorità brasiliane, punk e psichedelia tropicale. Lui, Andrea Pulcini, nato a San Benedetto del Tronto, vive e lavora nel capoluogo emiliano e il suo primo progetto artistico Persian Pelican, ancora in attività, gli permette di farsi conoscere come songwriter intimista.
Le due anime si uniscono e danno alla luce Canarie, un gruppo che si divide tra pop elegante e sound elettronico-psichedelici, in grado di trasportare l’ascoltatore in isole lontane e in atmosfere sognanti. Dopo il buon seguito del precedente disco del 2019 Tristi Tropici, i due si lanciano in una nuova avventura firmata Porto Records, Immaginari, divisa in due parti. I primi otto pezzi sono disponibili dal 16 aprile, mentre per i restanti dovremo attendere la stagione autunnale.
Abbiamo intervistato la coppia e siamo partiti con loro in questo viaggio coinvolgente.
Venerdì 16 aprile è uscito il vostro nuovo lavoro intitolato Immaginari, Pt. 1. Addentrandoci in questi otto brani, come descrivereste voi stessi questo disco? Quali sono gli “immaginari” a cui si fa riferimento?
Immaginari è una spugna che ha assorbito quest’ultimo anno a dir poco singolare. Un periodo per certi versi drammatico, per altri, unico nel recuperare un modo di vivere il nostro quotidiano quasi perduto. Noi siamo stati fortunati nel poter immergerci in moltissime scoperte letterarie, cinematografiche e musicali che vanno dai libri di Bufalino, i primi film di Bergman e Dolan, la saudade musicale brasiliana.
Il tutto si apre con “Quadri ribelli”, il cui sound sembra proprio quello adatto al racconto di una storia. Il viaggio ha inizio, ma, soprattutto considerando l’opera complessiva, dove ci state portando, qual è la destinazione (sia figurata che metaforica)?
Immaginari è un viaggio per alcuni versi onirico-visionario, per altri autobiografico dei possibili sviluppi emozionali che le relazioni umane e sentimentali possono avere. La fine del percorso è quella dell’inevitabile disgregazione di ogni tipo di legame, vuoi per crepe strutturali che iniziano a rendersi insanabili col tempo, che per il naturale sopraggiungere dell’ultimo respiro. Non a caso “Quadri Ribelli” inaugura il lungo viaggio del disco. È una canzone programmatica dove si fa un bilancio finale della propria esistenza solitaria e di coppia un istante prima di morire: la voglia di fuggire come un dipinto che si rifiuta di essere fissato su una tela, l’accettazione dell’ultimo respiro, un ultimo sorriso alla propria compagna di vita prima di addormentarsi per sempre e fregare l’insonnia.
Ciò che conquista di Immaginari, Pt. 1 è sicuramente la narrazione di più vicende distinte tra di loro. Si parla d’amore, a livello personale e collettivo, ma non solo. È come se Paola e Andrea diventassero amici dell’ascoltatore, un po’ cullandolo nelle sue paure ed incertezze. Secondo voi, che ruolo hanno nella società odierna le canzoni d’amore?
Oggi c’è una tendenza al consumo fast food di canzoni dove prevale una superficialità egocentrica e ‘lagnona’ dell’amore, figlia di un’educazione sentimentale diversa. Personalmente siamo legati a brani dove si privilegia un aspetto più poetico, visionario, genuino e autentico. Una canzone che abbia queste caratteristiche può attraversare il tempo senza invecchiare, portando inalterato il suo fondamentale ruolo sociale e politico di collante spirituale.
Un altro dettaglio interessante è la presenza costante in ogni traccia di un finale, poco allegro e molto malinconico, che pone tutti i pezzi su uno stesso livello di lettura. Per quale motivo si parla di termine e non di inizio?
Nel “Samba delle Benedizioni” Vinicius De Moraes recita: “Se vuoi dare al samba la bellezza hai bisogno di un poco di tristezza. Tristezza che ha sempre la speranza di non essere triste prima o poi”. Questo sentimento si annida nella lontananza da un luogo o persona amata, nelle situazioni soffocanti, nelle fughe impossibili o nei rapporti incancreniti. Noi siamo amanti dei melodrammi con i loro funambolici conflitti sentimentali. Ci sembra più interessante condensare in una canzone più i possibili finali imprevedibili che gli inizi idilliaci.
In “Topexan” cantate: “Cosa ci resterà della grammatica?” e il ritornello si riempie di altri interrogativi. Ma, in riferimento alla domanda che vi ho citato, quanto contano nel vostro universo musicale le parole? Come prendono forma, invece, le vostre sonorità?
La sfera della nostra immaginazione si può riconoscere attraverso la produzione letteraria, cinematografica, pubblicitaria che ci circonda o che ci ha attraversato. Per citare un noto film di Moretti (Palombella Rossa) ‘le parole sono importanti’ perché, più sappiamo sceglierle e selezionarle dal nostro ricco vocabolario, più si creano cortocircuiti semantici che fanno riferimento al nostro vissuto. Un universo nel quale ognuno può ritrovarsi o trovare nuovi stimoli.
Riguardo le sonorità, anch’esse sono frutto di una ricerca che parte dallo scovare nuova musica, assimilarla e attuare una sorta di creolizzazione con il nostro gusto e stile. Da poco stiamo pubblicando quotidianamente sul nostro profilo di Spotify una playlist pubblica intitolata Musica Per Organi Caldi, in modo che ognuno possa seguire i viaggi musicali che stanno dietro al nuovo disco.
“Universo” è stata pubblicata il 16 febbraio come singolo ed ha anche un suo video. La canzone mette in contrasto il testo, che vede il protagonista in una posizione statica intento a “fissare tutto il giorno l’universo”, e la parte sonora, in cui si dà ampio spazio all’elettronica, tra synth e drum machine. In quale modo si mescolano queste due metà quasi agli antipodi?
In “Universo” volevamo enfatizzare il contrasto tra l’immobilità saggia delle statue e il rapido susseguirsi di pensieri associativi sull’influenza che le meccaniche celesti hanno su di noi. L’idea era che le trame di arpeggiatori, synth e drum machine si toccassero come scintille propulsive per un ultimo viaggio interstellare fino alla nostra dissoluzione nell’immensità delle galassie.
Con “E finirà così” di “Avvoltoi” si conclude questo libro in otto capitoli. Tuttavia, non si tratta davvero della fine: Immaginari, Pt. 1 avrà un seguito che scopriremo nella stagione autunnale. Perché avete scelto di pubblicare l’album in due parti separate? Cosa dobbiamo aspettarci dal “sequel”?
Ci piaceva l’idea di pubblicare un canzoniere liquido in cui potersi immergere con un lungo respiro anche temporale. Una collezione di canzoni adatta per ogni stagione e periodo dell’anno. A livello di sonorità la seconda parte continuerà a mantenere l’eclettismo della prima, ma nella scrittura si toccheranno corde più autobiografiche, come se tutti gli immaginari da noi evocati tornassero nel nostro quotidiano per sciogliersi come sogni sopra il letto.