Penso che questo sia uno delle novità discografiche che ha meglio chiuso il 2023 e ci concede il lusso di nuova luce per questo futuro che arriva. Bruna è giovanissima ma ampiamente libera e sicura del suo suono e della forma che sperimenta, ricerca, evolve e deforma. Non a caso questo primo disco lo ha intitolato “Ibrido”… liquido, dinamico, classico da un lato e sovversivo dall’altro. Elettronica ed acustica che anche dentro le rifiniture della sua voce concede la quiete di un carattere davvero personale. Insomma: uno di quegli esordi che ci piace ascoltare.
Davvero un esordio che punta in alto. Che donna sei diventata e che artista sei diventata con il completamento di questo disco?
Mi sento molto più completa rispetto a prima, ho esaudito uno di quei piccoli grandi sogni di quando intraprendi questo percorso – piuttosto imperverso ma meraviglioso – da artista. Come donna ho imparato ad essere ancora più decisa, più direzionata verso ciò che voglio e non voglio fare, e sempre più convinta che la solidità dei propri successi è direttamente proporzionale a quanto ci si crede. Come artista ho imparato che è anche bene focalizzarsi sui tuoi punti deboli per renderli dei grandi punti di forza. E questo è quanto è successo con questo album: “Ibrido” nasce proprio grazie ad un contrasto interiore che non mi ha mai permesso di scegliere una tra le tante direzioni che ho intrapreso nella vita. Le adoro tutte… Grazie a questo progetto ho deciso di percorrerle ad una ad una e divertendomi tra tutti gli stimoli che ho avuto attorno durante il processo di creazione.
Suona che tanto mi fa pensare a Fiona Apple e alla sua libertà estetica. Cosa ne pensi?
Che complimentone! Grazie! In realtà ambisco molto a narrare la libertà con la stessa complessità e allo stesso tempo leggerezza di Fiona Apple. La sua è piena di riferimenti ad esperienze che l’hanno segnata particolarmente, la mia forse fino ad ora ha più una visuale di intenti e sogni ed è un po’ meno solcata da cicatrici. Di lei mi piace molto il suo stile “ibrido”: il suo spaziare tra pop, jazz e soul ha rafforzato l’idea che avevo della possibilità di estendere il proprio stile musicale in modo tale da inglobare tutte le esperienze eterogenee della propria vita senza alcun filtro.
Il disco ha mille facci diverse… un vero ibrido… se dovessi sceglierne una?
Non credo di riuscire a scegliere, è come prediligere un figlio piuttosto che un altro. Sono tutte sfumature che fanno parte di me. Sicuramente, però, ci sono delle cose che sento forse più mie, altre invece che si modellano un po’ di più in base alle logiche del team che scelgo di avere al mio fianco – ma è giusto così! Ogni brano è il frutto di un lavoro di squadra pazzesco e deriva da un continuo confronto con produttori, musicisti e addetti al settore. Se fossi sola nella mia cameretta (ma per fortuna non lo sono!), scriverei tantissime canzoni nostalgiche super eteree ma poi so che non rivendicherei il lato energico, ironico e deciso del mio carattere che mi contraddistingue.
Mi incuriosisce anche “Ricordati di te”, brano che troviamo anche nella sua versione originale. Il testo è diverso o sbaglio? Com’è cambiato con il tempo che è passato attorno?
“Ricordati di te” ha subito un lungo processo di evoluzione nel corso del tempo. Tra le dodici del disco, è quella che ha avuto la più lunga gestazione e, senza volerlo, mi ha accompagnata dall’inizio alla fine di questo percorso. E’ stata la prima canzone che ho scritto, ma anche l’ultima. Sono state fatte svariate versioni di questo brano, ma la prima, quella in acustico composta insieme a Giuseppe Preiti, mi è sempre rimasta nel cuore. Ancora adesso è una di quelle che mi fa tremare di più. Poi è arrivato Roberto Cammarata, uno dei produttori de La Rappresentante di Lista, che con il suo sound ha stravolto il brano mantenendo la stessa empatia. Il testo della versione acustica è più narrazione e storia, l’altro è più una raccolta di immagini e sensazioni. Abbiamo deciso di mantenere entrambe le versioni per ricordarci sia da dove siamo partiti, sia in che direzione stiamo andando. Un cerchio che si chiude.
Da Architetto… confinare e studiare la forma sembra quasi una contraddizione al concetto di libertà. Sei libera nei rigori di una forma?
Che bella domanda. Assolutamente sì! Ed è un gioco meraviglioso! Credo infatti sia molto più creativo e libero esprimere la propria personalità, creatività e identità entro dei limiti. Immagina di avere un foglio bianco: è molto difficile cominciare a disegnare, e rischieresti di bloccarti per le infinite possibilità che hai a disposizione. Prova a pensare invece a qualcuno che ti suggerisce una forma: le possibilità si riducono ma è molto più facile e divertente maneggiarle. Forse, non è tanto il concetto di limite, quanto più di “soglia”: puoi attraversarla quando vuoi, e mentre lo fai sai cosa stai lasciando alle spalle. Se non ci fosse la soglia, lo spazio fagociterebbe tutto senza punti di riferimento. Lì forse è la vera gabbia.