– di Martina Rossato –
I BowLand sono un progetto discografico unico. Saeed, Pejman e Lei Low si sono conosciuti a Teheran ma il gruppo nasce a Firenze, dove si sono trasferiti per studiare. I loro brani sono una commistione di culture e generi molto particolare, un misto tra atmosfere oniriche, sonorità orientali ed elettriche talmente peculiari da non poter essere paragonate a nessun altro progetto musicale.
“Am I Dreaming”, il loro ultimo brano, è nato durante il lockdown e ben rappresenta la domanda che tutti ci siamo fatti, in particolare durante la pandemia: «Sogno o son desto?».
Comincerei parlando del vostro ultimo singolo, “Am I Dreaming”. È un brano nato nel periodo del lockdown, in un contesto geografico particolare. Qual è la sua genesi?
Saeed: È nato da lui! [indicando Pejman, ndr]
Pejman: Sì, è vero, all’inizio è nato da me. Stavo suonando il tanbour, uno strumento iraniano. Ho trovato la melodia della canzone ed è partito tutto da lì. Di solito non pianifichiamo quale strumento usare, giochiamo con gli oggetti per creare suoni e quando esce una cosa figa, ne facciamo una canzone. Quindi tutto dipende dal suono che creiamo e se ci sembra interessante lo portiamo avanti.
Saeed: Altre volte però succede il contrario: una nostra canzone può nascere da qualcosa di elettronico o con una registrazione casuale, ad esempio. In questi casi abbiamo già una base e pensiamo a che tipo di suono può essere interessante e proviamo varie cose. Appena ci sembra che suoni bene, costruiamo il contorno.
Come vi sentite a far uscire adesso un brano nato durante il lockdown? Immagino proviate sensazioni diverse ora, vi ritrovate ancora in quel brano?
Saeed: Quanto al ritrovarci nel brano, assolutamente sì, soprattutto perché è una canzone su cui abbiamo continuato a lavorare dopo il lockdown. Oltretutto, quando è arrivato il lockdown generale noi ci eravamo ritirati già da due o tre mesi nella campagna toscana a scrivere canzoni. La canzone è nata in quel contesto, ma poi la abbiamo continuata in città, quindi non è una canzone che a livello di sensazioni ci sembra appartenente a un’altra epoca. È ancora molto attuale per noi.
Come è stato il vostro ritiro in Toscana?
Lei Low: Dovevano essere un paio di mesi, alla fine siamo rimasti lì quasi un anno [ride, nrd]! Eravamo veramente isolati da tutto.
Pejman: Sì, in mezzo agli animali.
Saeed: Era la prima volta che facevamo una cosa del genere insieme. Da un lato è stato molto bello perché eravamo in campagna, all’aperto e a parte i momenti in cui andavamo a fare la spesa, il Covid per noi non esisteva. Da un altro lato, l’isolamento è stato molto lungo, quando sei in città anche se sei chiuso in casa c’è la gente attorno, da lì invece vedevamo solo le notizie, dall’Italia e dall’Iran, quindi doppia fonte di preoccupazione. Da questo punto di vista è stato molto difficile.
Lei Low: Eravamo un po’ bloccati lì, forse meno creativi.
Parlando delle vostre vecchie canzoni, mi sembra che abbiate sempre mantenuto una linea musicale ben definita. Riscrivereste i vostri vecchi brani o vi sentite cambiati dopo questa esperienza?
Lei Low: Alcuni brani sono ancora molto nostri. Altri invece no, infatti abbiamo cancellato alcune registrazioni che non ci piacciono più.
Saeed: Credo sia una questione di evoluzione artistica. Se dovessimo rifare alcune vecchie canzoni, le faremmo in modo diverso. Secondo noi, meglio. Anche le canzoni vecchie, che suoniamo ancora ai concerti, hanno arrangiamenti diversi rispetto all’originale, ci sembrano meno… [cade la connessione, ndr]
Pejman: …meno dinamiche [ride, ndr]. Siamo diventati più attenti a molti dettagli.
Lei Low: Più maturi, direi.
Pejman: Sì, anche finire un brano è diventato più difficile. Poniamo moltissima attenzione in più sui dettagli, quindi ci vuole più tempo per chiudere un pezzo. Prima facevamo più veloce, ma ora pensiamo sia meglio la qualità della quantità.
Il titolo della vostra canzone è una domanda e nel brano c’è un continuo oscillare tra realtà e sogno. Avete trovato una risposta o la state ancora cercando?
Lei Low: Sì, è una domanda, infatti avrei voluto mettere un punto interrogativo in fondo al titolo. Nel periodo di isolamento la situazione era strana, tutti avevamo perso il senso delle cose e della realtà.
Pejman: Tutti ci siamo chiesti se quella che vivevamo fosse la realtà o un brutto sogno, abbiamo sperato di svegliarci a un certo punto e realizzare che niente era vero. È una sensazione particolare, che prima della pandemia magari non provavamo.
Saeed: Secondo me, nel momento in cui la canzone esce e diventa di tutti, “Am I dreaming?” diventa una domanda personale. Ogni persona che la ascolta deve decidere da sola se sta sognando o se è la realtà.
Pejman: All’inizio del lockdown credo che nessuno stesse capendo cosa stava succedendo intorno.
La copertina è molto particolare, come è nata?
Saeed: In realtà nasce dal video, per il quale avevamo coinvolto Samaneh Vahabi, un’artista iraniana che vive a Torino. Il video è molto rappresentativo dell’atmosfera della canzone, e ci sembra quello che ci è meglio riuscito finora. Quando stavamo pensando alla copertina, abbiamo deciso di usare una delle maschere realizzate dall’artista come immagine. Ci sembrava l’elemento più di impatto a livello visivo e a livello di significato era perfetta perché è qualcosa che puoi vedere solo in un sogno.
Pejman: Non era molto piacevole per la mia mamma, che ha commentato dicendo: «Cos’è questa roba?!»
Saeed: «Mamma mia, ma è inquietante!»
[ridono, ndr]
Lei Low: Ma proprio per questo funziona.