“Fermo qui” è il singolo di debutto di BOISON, nome d’arte del cantautore romano Ivan Boison. Il brano è uscito il 18 marzo per The Prisoner Records, in distribuzione The Orchard. L’artista si presenta con una canzone cupa e intima e ci racconta, con un rock che sintetizza suoni elettronici e acustici, uno spaccato emotivo figlio del nostro tempo: la sensazione di stallo in un’epoca veloce e allo stesso tempo anestetica, che lascia la sensazione di vivere in un lunghissimo istante sempre uguale a se stesso.
Non potevamo lasciarlo andare senza prima fargli qualche domanda!
“Fermo qui” è il tuo primo singolo. Cosa ci racconta su di te?
Con “Fermo qui” ho un po’ provato a portarvi nel mio mondo. Ho cercato di ricreare delle immagini, delle sensazioni, degli stati d’animo che ho vissuto in prima persona. Da questo brano potete cogliere una personalissima narrazione di ciò che gli ultimi anni appena trascorsi mi han lasciato addosso. Si parla della quotidianità che tutti condividiamo, ma filtrata dai miei occhi, dalle mie orecchie, digerita non sempre bene, e poi raccontata dalla mia voce. La costante è questa sensazione di immobilità rispetto gli eventi che di volta in volta si avvicendano. E questo in contrasto alla frenesia con cui tutto intorno a me continua a scorrere inesorabile, come una macchina in continuo movimento spinta da ingranaggi che non conoscono riposo. E allo stesso tempo sento la necessità forte di non piegarmi a questa condizione alienante, cercando un appiglio per continuare a sentirmi vivo. E scrivere canzoni, come “Fermo qui”, mi aiuta in questo. Mi aiuta ad esorcizzare i miei demoni.
Quando hai capito che la musica avrebbe sempre fatto parte della tua vita? Hai mai dubbi a riguardo?
Quando avevo circa sei anni mi regalarono la prima tastiera. Una bontempi, molto piccola ma aveva tutto l’essenziale. Ricordo che ascoltavo i dischi di De Andrè di mio padre e ad orecchio provavo a risuonare la linea melodica della voce dei brani. Con gli anni poi ho continuato a coltivare questa passione, con corsi di chitarra e canto. A 24 anni, dopo aver conseguito la laurea in architettura, altra mia passione, decisi che da lì in poi avrei investito tutto il mio tempo nella musica, così mi iscrissi al “Saint Louis College of Music”, indirizzo Tecnico del suono. In quegli anni ho capito che la musica doveva essere la mia vita. È l’unica cosa che mi fa sentire davvero vivo. Lavorare in questo settore, che sia in primo piano su di un palco con un microfono e una chitarra, o che sia dietro le quinte come tecnico audio, mi toglie ogni volta qualsiasi dubbio sul fatto di aver intrapreso la strada giusta.
Quando hai capito che Nicola Cursio era adatto allo sviluppo del tuo progetto? Come avviene una vostra tipica giornata in studio?
Conobbi Nicola durante gli studi al “Saint Louis College of Music”. Da subito tra di noi nacque una forte amicizia, non saprei come spiegarvelo. È scattato quasi istantaneamente quel qualcosa che ti fa dire che un rapporto è speciale. Questa forte intesa mi ha portato a presentargli le prime bozze di quelli che sono poi diventati brani a tutti gli effetti. All’epoca erano ancora in uno stato embrionale. Ricordo che era una serata estiva e passai a trovarlo in studio, a MusicUp (dove ancora oggi sviluppiamo molte delle nostre idee, creando le demo che dopo la fase di produzione, coadiuvata da Ivan Antonio Rossi e Michele Bitossi, diventano i brani che tutti potete ascoltare). Gli feci ascoltare le idee che avevo, solo chitarra e voce. Se ne innamorò in quello stesso momento, così decidemmo di sviluppare i brani assieme.
Come dicevo, spesso ci vediamo in studio per lavorare, mentre altre volte ci capita anche di vederci a casa. Ci è capitato anche di dover fare qualche sessione in “smart working” per via del Covid. Di solito, il tutto parte da un’idea di uno dei due. Da quel momento è un continuo confrontarci e lavorare insieme su struttura, arrangiamento e tutto ciò che andrà poi a formare il brano. Ci divertiamo sempre molto in fase di scrittura.
E in sintesi, il nome “BOISON”, chi comprende?
Dietro al nome BOISON ci sono ovviamente io, Ivan, c’è Nicola, ma ci sono anche tutti coloro che hanno abbracciato e deciso di collaborare a questo progetto, come Michele Bitossi di The Prisoner Records e il nostro produttore artistico Ivan Antonio Rossi. In generale, BOISON racchiude in sé tutti coloro che, come le persone sopracitate, hanno permesso a questo progetto di svilupparsi e che continuano a condividere con noi questo percorso.
In che modo “Fermo qui” rappresenta il vostro presente?
Con questo brano ho provato a fotografare quello che è un po’ il periodo storico in cui siamo immersi. Mi verrebbe quasi da dire, il periodo storico che stiamo subendo, più che vivendo. Sono anni controversi e paradossali: se da un lato tutto muta costantemente, con un ritmo frenetico, al quale è veramente difficile stare dietro, dall’altra parte ci sono le persone, ormai anestetizzate e impassibili agli eventi che di volta in volta accadono. Siamo tutti terribilmente fermi. Forse proprio perché ci troviamo a rincorrere la vita piuttosto che viverla. Il vero problema di questa situazione è che non si ha mai la sensazione che ci possa essere una svolta, un colpo di scena, che possa farci sentire veramente vivi. Così continuiamo a vagare, più per abitudine che per la voglia di scoprire cosa ci aspetta lungo il percorso. Fermo qui è l’esigenza di prendere atto di questo stato di cose, per poter riprendere in mano il filo del discorso, per ricominciare a muoverci in maniera attiva.