– di Riccardo Magni.
Foto Irene De Marco / MArteLive –
Il 2019 tra le tante proposte ha visto il ritorno in scena dei Blindur. Non che Massimo De Vita e soci si fossero mai realmente fermati a dire il vero, ma il disco uscito ad aprile ha segnato un passaggio importante. Un nuovo inizio sotto diversi aspetti, come racconterà Massimo, sintetizzato in modo forte anche nel titolo, particolarissimo: “A” (ascolta su Spotify).
Dopo un bel tour che ha portato Blindur su tantissimi palchi italiani, conclusosi in grande su quello de La Tempesta su Marte al Largo venue di Roma lo scorso 6 dicembre, nel 2020 la musica di Blindur sarà ancora in giro in tutta Italia in versione acustica.
Di questo e di tanto altro, qualche mese dopo la nostra prima intervista (leggi qui), abbiamo parlato proprio con Massimo De Vita.
Questo disco segue un cambiamento, che si sente nel sound e si vede nella nuova formazione sul palco. Anche se in realtà l’hai fatto quasi completamente da solo. Com’è stato per te questo passaggio?
In realtà all’epoca del duo, in partenza, avevamo già voglia di allargare la formazione. Non c’era stata mai la possibilità di organizzarci e di prendere le cose con un attimo di calma, per provare a farlo. Dal momento in cui Michelangelo (Bencivenga) ha deciso di prendere una pausa – che fortunatamente è finita – dal progetto, io ho pensato a cosa volevo fare per tornare a suonare, sia in studio che dal vivo. Il passaggio è stato un po’ turbolento, non è stato proprio sereno. C’era una parte di me che aveva voglia di fare una roba molto acustica. Sai, una cosa un po’ più intima, chitarra e voce…
C’era una domanda anche su questo in effetti.
Ecco! [ride]. Però, alla fine, è venuta fuori questa band, il cui parto – ripeto – è stato molto movimentato. Attualmente però, penso di essere proprio nella fase migliore che potevo augurarmi da quel punto di vista.
E sul palco, com’è stato passare dal suonare in duo al suonare in band, come lo stai vivendo?
Io ho dovuto imparare a suonare da capo, praticamente. I primi mesi ero totalmente sconvolto dall’idea di dovermi concentrare a suonare meno cose, non sapevo assolutamente cosa fare. Inizi a porti altri problemi. Attualmente devo dire, il suono, la coesione e l’intesa, dopo un bel po’ di lavoro, è andato tutto a buon fine.
Un po’ un paradosso è il fatto che il disco sia molto intimo e personale, ma a suonarlo ci sono più persone di prima. Come lo spieghi?
Lo trovo un paradosso però abbastanza naturale. In qualche modo, sono cose molto intime, ma abbastanza crude. Mi verrebbe quasi da definirle violente. Per esprimere bene questo concetto, c’erano due modi: essere molto silenziosi e totalmente svuotati da tutto oppure cercare di essere muscolari e dare al suono quanta più energia possibile. Poi, resta il fatto che in qualche modo certe cose, se dette con la giusta forza, si trasformano, si capovolgono. Quindi, anche la negatività viene canalizzata nella potenza del suono. Questo aspetto dovrebbe trasformarsi in qualcosa di bello.
Hai scelto un titolo particolare per il disco: A. Cosa significa?
Ha mille significati. Mi piaceva l’idea di un inizio, perché questo disco è il primo venuto fuori a bocce ferme. L’album precedente è stato scritto, concepito e composto di concerto in concerto. È stato più una sintesi di quello che era successo nei due anni precedenti. In questo caso, invece, sono nate prima le canzoni e poi è venuto fuori il resto. Da un’altra parte, c’è il fatto che mi interessava provare a sintetizzare in un solo suono, in un solo tratto visivo, qualcosa che fosse molto forte, molto primitivo, che in qualche modo fosse comune a tutte le persone. La A mi è sembrata abbastanza forte da questo punto di vista.
Dicevi prima, anticipando anche la domanda, essendo un disco così intimo, così personale, c’è in programma di fare qualcosa in acustico, magari di nuovo in duo o in una formazione più ristretta, più intima. “A-coustic” tour dei Blindur è già partito e dopo aver toccato Milano e Bologna, domani passerà per Roma, a Na Cosetta, poi sarà la volta di Santa Maria Capua Vetere, Taranto e tantissime altre città.
Nei prossimi mesi faremo un po’ di date con tutta la band in un set super acustico, intimo e minimale. Tra l’altro suono il pianoforte, il primo strumento che ho iniziato a suonare nella mia vita ed è la prima volta che lo suono dal vivo. Mi piace anche quest’idea di mettermi in gioco su una cosa totalmente nuova. Sono molto curioso di capire cosa succederà. Poi, non so. Anche se si fanno i piani, in tre-quattro mesi tutto si stravolge in maniera imprevedibile. Quindi, io sto nel flusso e cerco di capire cosa ne potrebbe venire fuori.
Ci siamo incontrati in occasione della serata de La Tempesta a Roma in cui avete condiviso il palco del Largo venue con una serie di artisti dell’etichetta, tutti come sempre di grande qualità. In poche parole (o in quante vuoi tu), raccontaci il tuo rapporto con La Tempesta.
Beh, è stata la casa che mi ha accolto quando tutto è iniziato. Per la prima fase di questo progetto è stata a dir poco fondamentale. Blindur è stato ricevuto tanto, soprattutto nella prima fase del suo percorso da La Tempesta. Tra l’altro è molto divertente, perché proprio di questi periodi quattro anni fa iniziava il nostro vero rapporto con l’etichetta, precisamente ad un festival de La Tempesta. È anche bello parlarne in una circostanza del genere.