Di concerti interessanti a Villa Ada ce ne sono ogni anno, ma occasionalmente la line – up degli artisti può riservare piacevoli sorprese; non è per i Black Mountain in sé per sé, quanto per il gruppo spalla, i Soviet Soviet. Si tratta di due gruppi che in comune non hanno nulla in pratica: i primi, canadesi, vengono da un album di esordio self – titled dall’Hard Rock genuinamente ’70 e timidamente psichedelico, per poi trasformare, nel corso degli anni, il proprio sound fino ad arrivare a IV, l’ultimo lavoro della band che sfiora l’onirico in quanto ricerca del suono; i Soviet Soviet invece riprendono una New Wave di fine anni ’80, accentuando in alcuni lavori le tinte più cupe e malinconiche del genere. Due decadi dividono la musica, lo stile e le influenze delle due band. È vero anche che i gruppi in apertura sono scelti spesso con poca attenzione se non fosse che questa volta non si sarebbe potuta fare scelta migliore! Questo non cambia il fatto che siano state due esibizioni perfettamente a sé stanti, ma il livello di entrambe è stato altissimo e ha permesso allo stesso pubblico di assaporare due mondi musicali in un’unica serata.
Se un fan della band nostrana si fosse interessato sull’inizio del concerto o avesse voluto fare una previsione sull’esibizione insieme a qualcun altro, si sarebbe ritrovato abbastanza spaesato: la stragrande maggioranza del pubblico e degli stessi fonici, fotografi o comunque gente impegnata sopra e sotto il palco, non aveva la più pallida idea di chi fossero i Soviet Soviet. Non c’era niente da fare: gli ospiti tanto attesi erano i Black Mountain! Solo qualche decina di persone si è avvicinata alle transenne quando i tre ragazzi di Pesaro, i quali per altro, erano letteralmente circondati e soffocati dall’ingombrante strumentazione dei canadesi headliner, riducendo il palco a disposizione a un quarto e poco più. Dal 2008 fino ad oggi, con numerosi singoli, split e tre album pubblicati e uno in lavorazione, i Soviet Soviet sono uno dei progetti più interessanti della penisola, anche per il solo fatto di farsi interpreti in Italia di una simile musica e di sapergli dare un taglio così personale ed emotivo; Fate soprattutto, l’ultimo album prodotto dall’americana Felte, è un lavoro incredibile che merita veramente di essere ricordato a distanza di così tanto tempo. È proprio con Together che si apre il concerto e fin dal primo momento, il gruppo dimostra di che pasta è fatto. Andrea Giometti, voce e basso, e Alessandro Costantini, chitarrista della band, sono una coppia perfetta! Il primo si dimena come un animale in gabbia, attorcigliandosi con il cavo del basso e sollevando e dibattendo quest’ultimo strumento come un uomo preistorico, rimanendo comunque per tutto il tempo tecnicamente impressionante; l’altro è immobile, stoico e completamente preso dall’esibizione. Opposti ma visivamente perfettamente concialiabili. In questo caos controllato si alternano tra i migliori brani dell’ultimo album, pezzi più vecchi e inediti che andranno a comporre il nuovo lavoro. Un esibizione del genere, senza neanche una sbavatura, si è meritata la decuplicazione di pubblico che ha avuto, e, nonostante sia stata forse troppo breve, è risultata innegabilmente incisiva, intensa e capace di aprire in bellezza l’esibizione. Difficile dimenticarsi un’esibizione così.
Si smonta l’attrezzatura degli italiani e dopo una breve attesa entrano i canadesi. I Black Mountain cominciano la loro attività più come un collettivo di artisti (il che ne giustifica anche i numerosi componenti), la così detta Black Mountain Army, e da lì in poi ne hanno viste veramente tante: dal debutto del 2005 fino ad oggi la band, sempre mantenendo fissi gli influssi anni ’70 e psichedelici, nel corso dei loro quattro lavori e dei numerosi slide project hanno attraversato il Folk americano, l’Alternative Rock (un brano come No Satisfaction, ad esempio) fino a sonorità prossime allo Stoner.
Se li si volesse descrivere in poche righe, si potrebbe dire che sul palco appaiano come i Jefferson Airplane, ma appena iniziano a suonare, sembra di sentire Led Zeppelin e Black Sabbath sul medesimo palco. Questo live in particolare si è mantenuto interamente sulle atmosfere di IV e in generale ha dato massimo spazio al carattere psichedelico della band. A eccezione di Florian Saucer Attack, brano veramente adrenalinico di cui purtroppo al live ne è stata portata una versione ridotta. Il resto dell’esibizione è stata ipnotizzante: i Black Mountain sono stati degli incantatori di serpenti provetti e tutto grazie alla ottima scaletta. A differenza dei Soviet Soviet, brevi e indolore, i canadesi dilatano il tempo a loro disposizione, specialmente nel finale, assolutamente estasiante ed epico, così come tutto era iniziato con Mother of the Sun.
Due live diametralmente opposti: i Soviet Soviet esplosivi ed incontenibili, quasi soffocati dal palco a loro disposizione; i Black Mountain statuari, al massimo ancheggianti e dalle atmosfere esoteriche. La differenza è anche tecnica: nonostante la precisione, la band di Pesaro viene da un modello di live sporco ed aggressivo, mentre i canadesi si preoccupano della qualità del suono dando al loro concerto quasi l’aspetto di una celebrazione religiosa. In sintesi, i primi raggiungevano il pubblico nella loro energia, i secondi la emanavano come dei sacerdoti di divinità pagane. Forse è stata proprio questa la forza del live: così vario da risultare in conclusione una piacevole sorpresa. Entrambi gli artisti sono stati all’altezza delle aspettative e impeccabili sul palco.
Quel che conta veramente è che i fan degli e degli altri siano tornati soddisfatti da un concerto incredibile come questo.
Davide Cuccurugnani
Foto: Giovanna Mammana