Si intitola “Climb your Time” questo progetto davvero molto interessante di Filippo Zironi che evolve, accoglie la metamorfosi, cambia pelle ma non l’abitudine di riflettere su ciò che accade intorno. Un disco completamente realizzato su smartphone, un suono dunque digitale in un mix che sorprende nella coerenza. Un leitmotiv impegnativo: la riflessione dell’uomo nel vivere quotidiano.
La bellissima diapositiva del singolo di lancio “About Links” con il video ufficiale che troviamo in rete ci da un’idea dell’espressione tematica e strutturale che possiamo trovare nella musica di Zironi. Un progetto dal mood internazionale che attinge a mani basse dal pop glitterato delle scene inglesi degli anni ’90. Quel beat computerizzato, ovviamente, quel piglio un po’ eclettico e un po’ intimista, quella voglia di analisi che sinceramente, non fosse per l’estetica assai spensierata, sarebbe una scusa buona per prendere spunto e tornare un poco a quel mondo anima che un poco ci appartiene. Che tanto di maschere già ne abbiamo ogni giorno. Istinto. Ecco dove punta la musica digitale del progetto Be a Bear.
Iniziamo parlando dell’Orso. Un oggetto, un simbolo, un personaggio assai caratterizzante. Un qualcosa di autobiografico o una critica a quello che vedi attorno?
La “nascita dell’orso” è collegata ad un viaggio in Canada di qualche anno fa dove ho avuto la fortuna di conoscere da vicino la cultura dei nativi americani, la loro spiritualità e la loro energia. L’orso è uno dei loro animali sacri per eccellenza e quindi l’ho scelto come immagine. Ma è più importante il messaggio che voglio provare a lasciare, l’“essere orso”, che vuol dire tirare fuori la parte più selvaggia, quella che di solito nascondiamo meglio; dovremmo essere tutti più animali e meno uomini, più legati alla nostra terra, più in contatto con la natura. Ed è quindi anche una sorta di critica a quello che vedo oggi: troppa gente fa le cose senza sapere quello che fa, è incanalata in schemi malati e sconosciuti, ci sono troppe mode o modi di fare da seguire, siamo troppo attenti a quello che si dice o a come si vuole apparire… Rischiamo di perdere l’impulso naturale, quell’istinto animale che ogni essere vivente ha e deve avere.
Spesso si ricorre a questa figura, come anche all’uomo mascherato da animale. L’ultimo disco dei Vallanzaska si intitola “Orso Giallo”. Hai attinto da tutto questo o da tanto altro ancora oppure è stato un’analisi spontanea e individualista?
Sì ho visto che pure gli amici Vallanzaska hanno scelto l’orso. Per me la scelta della maschera in realtà è stata più o meno casuale. All’inizio di questo progetto dovevo fare un po’ di foto e decisi di comprare una maschera, così per divertimento…da allora non me la sono più tolta!
Elettronica non solo digitale ma addirittura portatile in qualche modo. Anche tu ricorri al solo uso dello smartphone. Come mai?
Per necessità. Non sono mai a casa. L’iPhone l’ho sempre dietro e lo tiro fuori nei momenti morti della giornata, quando sono in fila in macchina o alla fermata dell’autobus. Lo sfrutto appieno, come si deve. Probabilmente senza l’iPhone Be a Bear non avrebbe ancora pubblicato un album!
Limiti e possibilità? Che cosa ti ha tolto e cosa hai conquistato?
Chiaramente ha un sacco di limiti, mi ci scontro spesso ma ho imparato ad arrangiarmi anche con poco, solo con quello che ho a disposizione. Pure questo è uno dei messaggio di Be a Bear, mi piace più concentrami sulle possibilità che sui limiti, anche nella vita!
La scena indie quindi secondo te andrà sempre più in questa direzione?
Non saprei, la scena indie ultimamente mi annoia. È vero che sta andando alla grande ma mi sta stancando, si è trasformata in una specie di POP e c’è una sorta di “massoneria” che comanda…di “indie” ormai non c’è rimasto quasi nulla. Poco conta quindi se è più elettronica o meno.