Università a Bologna, forse uno dei teatri più ricchi di stimoli per l’arte d’autore, partigiana, di controcultura. Bologna negli anni in cui si vivono nuove trasformazione personali, Bologna come teatrino di notti ricche di ispirazione, di quel mood che fa tornare alla mente la provincia degli anni ’90. Loro sono i Balto e questo loro primo disco che nasce sotto la pandemia di questi anni ma che sboccia solo ora – portando con se la produzione e i suoni di Fusaroli – si intitola “Forse è giusto così”. Ci sono tutti gli ingredienti, umani e spirituali per pensare al disco come un punto fermo da cui guardare il proprio passato ma anche osservare con stupore l’immediato futuro. C’è tanta libertà dentro questo disco che inevitabilmente risente dell’indie-pop di questo tempo nostro.
Un primo disco che sembra raccontare una nuova nascita, una “rinascita” in fondo… vero?
Sì, è un disco tanto sognato quanto voluto, e che nelle sue diverse sfaccettature è stato ricercato con tanto tempo e dedizione. È la nostra identità, ciò che più rappresenta le nostre persone negli ultimi anni.
Secondo voi Bologna, l’università, quei portici e quelle serate… poteva nascere un disco diverso o magari questo disco poteva nascere in un tempo diverso?
Dentro ci sono temi abbastanza universali, o quanto mento “generazionali”; parliamo di incertezza verso il futuro e ci siamo resi conto, durante il periodo di scrittura, che stavamo toccando tematiche che riguardavano le nostre vite e quelle dei nostri amici, delle persone lontane e vicine. Bologna ha fatto da sfondo e messo in luce le nostre debolezze e fragilità, ma anche i nostri sogni e quindi aspirazioni.
Finito quel mondo li, ora che ne rimane? Ora che disco potreste scrivere?
Queste canzoni dovevano uscire fuori in qualche modo necessariamente dalle nostre anime e dai nostri corpi; scriverlo è stata un’esigenza. Ora stiamo scrivendo nuove canzoni, e dopo tante domande vorremmo provare a darci qualche risposta.
E se puntassimo la luce proprio al futuro? Che cosa vedreste?
In “Quella tua voglia di restare”, brano di apertura del disco, diciamo “Oggi è il 2 aprile 2024…” e ci immaginiamo nel futuro dei nostri trent’anni, con qualche incertezza in meno e qualche sicurezza in più. Abbiamo scritto quel brano in particolare, ma il disco in generale, rivolgendoci al passato e sognando il futuro. Ci piacerebbe imparare a galleggiare, dando una nostra direzione delle cose che accadono e che ci circondano, ma sperando di essere in grado di riuscire comunque ad accettare il futuro che verrà.
Questo disco in fondo resta ancorato agli anni ’90 nonostante i nuovi suoni firmati da Fusaroli. Sbaglio forse? Se è corretto ditemi: cosa rappresenta per voi quel tempo?
Non saprei; le strutture dei brani sono abbastanza classiche e di impronta anni 90, vero. A noi piaceva l’idea di poter scrivere canzoni un po’ fuori dal tempo, non facilmente collocabili in questo periodo storico, ma che fossero vere per noi e per chi ha voglia di ascoltarci. Ci piacerebbe provare lo stesso entusiasmo di oggi nel riascoltare questo disco fra 10 anni. Sicuramente abbiamo ascoltato tanta musica di quegli anni, anche se il nostro primo vero approccio come band deriva dall’indierock inglese/americano degli anni 0/10.