– di Martina Rossato
e Giuditta Granatelli –
Simone Avincola, noto come AVINCOLA, è uno dei cantautori più promettenti della scena romana, vincitore di numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Stefano Rosso, il Premio Botteghe d’Autore, il Premio PIVI SIAE e il Premio MEI Cinema. Il suo percorso si è incrociato con quello di artisti come Riccardo Sinigallia, Freak Antoni (Skiantos), Paolo Giovenchi e Fiorello.
A ventun anni pubblica un EP di inediti, suscitando fin da subito l’attenzione della critica. A marzo 2013 è ospite del Cinema America, dove presenta il suo docufilm Stefano Rosso – L’ultimo Romano. Nel 2014 esce l’album d’esordio “Così canterò tra vent’anni” e l’anno seguente il secondo disco, “KM28”.
AVINCOLA ha dedicato gli ultimi anni alla ricerca di un nuovo sound, in collaborazione con l’etichetta Leave Music; a gennaio 2019 esce il singolo “Tra poco”, cui segue a dicembre dello stesso anno “Un Rider”. A maggio 2020 pubblica il videoclip del singolo “Miami a Fregene”, diretto da Phaim Bhuiyan, vincitore del David di Donatello 2020 come miglior regista esordiente. Partecipa a Sanremo 2021 con il brano “Goal!”, di cui ha scritto testo e musica, contenuto nel suo ultimo disco, “Turisti”, uscito il 26 febbriao 20121. A giugno 2021 esce come singolo “Limone” feat. Giorgieness, una rielaborazione del brano contenuto nell’album.
Abbiamo già intervistato AVINCOLA in occasione della sua partecipazione a Sanremo, per cui è stato bello ritrovarlo a Faenza in occasione del MEI, per fargli qualche altra domanda a distanza di un po’ di tempo. Ecco che cosa ci ha raccontato!
Oggi siamo al MEI; l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato per un’intervista telefonica. Era marzo e la situazione era completamente diversa rispetto ad oggi. Com’è adesso essere qui ad un festival, rispetto all’essere costretti a fare musica da casa?
È bellissimo. Io sono stato fortunato perché quest’estate qualche concerto l’ho fatto, però siamo sempre col pubblico che deve stare a distanza, con la mascherina. Anche suonare e vedere la gente che magari vorrebbe alzarsi in piedi – anche se nel mio caso meno, perché non faccio rock – comunque è sempre un po’ triste. Però qui c’è una bella aria; speriamo che le cose possano migliorare, se qualcuno si accorge che ci siamo anche noi, il settore dello spettacolo. Qui è molto bello, perché si respira un’aria di live.
Quest’estate a quali altri eventi hai partecipato?
Ho fatto un po’ di concerti in giro per l’Italia. Non moltissimi, però non mi lamento: è stato molto bello vedere finalmente la gente e suonare insieme al gruppo, perché abbiamo cominciato a fare le prove per i concerti, per il tour, ed era tanto tempo che non suonavamo insieme. Anche rivederci in faccia non ci sembrava vero. Invece era vero, pazzesco!
Che cosa cambia tra il suonare ad un festival e a un concerto? A un concerto hai i tuoi pezzi, li porti sul palco e li suoni. Invece ad un festival è come se dovessi scegliere dei brani che sono il tuo biglietto da visita, che segnano fasi diverse della tua carriera artistica.
Innanzitutto, personalmente è sempre più “stressante” suonare a un festival. È bello, bellissimo perché è sempre una nuova esperienza, ma devi farti ascoltare anche da persone che non ti conoscono. Non è il mio caso perché ormai mi conoscono tutti in tutto il mondo! Però, per i meno fortunati, è complesso [ride, ndr]. Devi scegliere i pezzi che funzionano di più, che ti rappresentano di più e nel mio caso suono “Goal!”, che non posso non suonare, ormai. Poi cerco di scegliere i pezzi creando una dinamicità tra un pezzo e un altro: c’è quello più trascinante, quello più malinconico.. Insomma, un miscuglio.
Questo periodo di ripresa, in cui siamo potuti scendere da quella panchina per metterci in campo, è un periodo in cui stai scrivendo?
Piano piano sì. Ho scritto un paio di pezzi nuovi, dovrebbe uscire un singolo a novembre. Con calma, sto scrivendo con calma. Non mi va di forzarmi e vorrei che quello che scrivo fosse sincero. Pago il prezzo dell’attesa; perché comunque, per noi che scriviamo canzoni, ogni volta che c’è attesa c’è tutta quella roba del foglio bianco, la paura di non scrivere mai più, i mesi che passano senza scrivere niente… Però preferisco così. Quando scrivo sono davvero soddisfatto di quello che ho fatto ed è una cosa sincera. Non è di plastica. Almeno per me.
È rilevante nel tuo curriculum la partecipazione a Sanremo. Volevo chiederti se quest’aspetto più bello, umano, di cui hai parlato prima in merito ai festival, sia una caratteristica anche di questo festival. Come ti sei trovato? Che impressioni hai avuto?
Effettivamente nella canzone che ho presentato, “Goal!” parlo di riscatto, di indossare la maglia da titolare, ossia credere un po’ più in se stessi. E questa cosa l’ho sentita molto da parte tutti gli artisti del festival. Fai conto che abbiamo suonato senza un pubblico davanti, non vedevamo nessuno. Ero felicissimo, però: ero su un palco importante, su cui è stato anche Vasco Rossi, per dire, che è il mio mito – e di molti altri. Però devo dire che ho notato in tutti questa mia stessa voglia di riscatto, di rivincita, ma anche di far passare una serata diversa a tutti quelli che erano a casa; avevamo anche una certa responsabilità e sicuramente eravamo dei privilegiati a poter suonare su un palco, in quel momento.
Sembra che il dramma della pandemia ti abbia lasciato anche qualcosa di positivo. Come lo descriveresti, questo qualcosa?
Io sono molto pigro, per cui prima fase lockdown non mi è pesata tanto. L’ho vissuta con tranquillità ma ho scritto pochissimo, anzi, niente. Non avevo ispirazione. Poi mi sono però accorto che in tutti quei mesi, in realtà, accumulavo idee, indirettamente. “Goal!” mi ha portato fortuna, in un certo senso, l’ispirazione è arrivata, però, alla fine: l’ho scritto appena in tempo prima della scadenza, in due giorni, tipo. In qualche modo mi ha portato fortuna. E adesso siamo qua!
Quindi scrivi più di getto, in genere, o raccogli delle idee e le metti giù in un secondo momento su carta – o su computer?
Sicurametne su computer. Ho qualcosa in sospeso, che ho scritto nel tempo, ma sono sempre in difficoltà a riprenderlo e a scriverci una canzone. Comunque penso che noi siamo sempre gli stessi ma sempre diversi – questo lo diceva Guccini. È difficile, per me, prendere le cose vecchie e renderle contemporanee. Quello che faccio non è mettermi a scrivere un testo a tavolino: ho periodi in cui non scrivo niente. In certi momenti parto da un immaginario o da un pensiero che ho in testa e scrivo abbastanza di getto. Preferisco non rimettere mano sui pezzi, almeno per quanto riguarda il testo. Per quanto riguarda l’arrangiamento, invece, su cui spesso lavoro sempre io, mi piace giocare con i suoni. Questo “giocare con i suoni” è qualcosa che, secondo me, nella musica italiana abbiamo imparato da poco, che è sempre stato considerato secondario rispetto ad altri elementi.