O: Commento cumulativo per ottemperare al vuoto di contenuti del nuovo album de Lo Stato Sociale
– di Michela Moramarco –
Ogni recensione richiede un ascolto attento, ripetuto e propositivo. L’album che stavolta è stato oggetto del mio ascolto s’intitola Attentato alla musica italiana. Premettendo che forse la cosa più azzeccata della questione sia il titolo, dopo aver ascoltato mio malgrado tutti i brani, mi è sorta una domanda a cui cerco di trovare risposta. SPOILER: non ci riesco.
La domanda in questione riguarda chi ha trascorso il proprio tempo in modo più discutibile: la sottoscritta ad ascoltare questo album o Lo Stato Sociale a crearlo?
Dunque, a valutare dalla mole dell’opera, mi aspettavo una certa quantità di idee di contenuto e di suoni e conseguenti idee di commento.
Il risultato? Il vuoto.
La mia ricerca è stata comunque puntigliosa, per quel che vale la pena. Di seguito i risultati.
Partiamo dal titolo. Si tratta di un album che, come ogni attentato, si poteva benissimo risparmiare.
Ogni brano di questo album sembra una serie di frasi lanciate a caso, come un sassolino nel laghetto: con la speranza che abbiano una certa risonanza, ma poi, affondano.
Un incasellamento di cliché apparentemente innocente che finisce per fornire un contenuto, sostanzialmente, vacuo, di un vuoto in cui si sente anche l’eco di un perbenismo marcio e, senza esclusione di colpi e di colpa, ipocrita.
La scelta di prendere parola da parte dei singoli componenti de Lo Stato Sociale è quasi encomiabile, come si dice? Mal comune, mezzo gaudio. È possibile leggere la questione come una deflagrazione del senso collettivo di band, deflagrazione del sé e dei se.
(Se potessimo non dir nulla, non lo faremmo)
E così nel suddetto elenco tristissimo di clichè parliamo ovviamente della forza generatrice, l’amore fatto in questo caso a pezzi e buttato sul parquet, secondo Albi; ma anche della notte, che cola sul viso, secondo Carota. E segue un grande classico. La noia. Lodo intitola un brano “Muoio di noia”. Ma fino a qualche giorno fa, personalmente, credevo che la noia fosse creativa. Non può mancare la riflessione pseudo-esistenzialista di Checco, che esprime il dramma di chi dice sì agli altri ma dice no a se stesso.
C’è il rischio di perdersi in questo mare magnum semantico e dimentico di dire qualcosa per davvero.
Per non parlare di Bebo, che risolve la cosa con un parlato su suoni elettronici a caso o meglio con un parlato a caso su suoni elettronici. A questo proposito, arriva un brano di cui non dico il titolo perché dovete ascoltare tutti i brani fino alla fine, che dicendo testuali parole “la cose delle cose dentro le cose” raggiunge l’apice del nulla cosmico. Non poteva che essere alla fine.
Insomma, Lo Stato Sociale potrebbe essere un genere a metà fra l’elettro-pop e l’indie rock ma comunque si tratta di un genere degenerato.