Domenica, quando suonavano Carl Brave x Franco 126, c’erano 5.600 paganti. Sabato sera, quando suonava Giorgio Poi, ce ne saranno stati meno di mille. Il dato è importante, ma allo stesso tempo può significare molto o molto poco. Perché da una parte è molto semplice, forse pure troppo, gridare al successo con questi numeri, quando si esibisce un gruppo che ha un’orda di ragazzini al proprio seguito. Dall’altra, è innegabile che le differenze fra la prima e la seconda serata del Roma Brucia siano state abissali. E su questo c’è da riflettere. Logicamente in questa sede non si intende fare un confronto inutile fra i due artisti, finendo per asserire che Giorgio Poi ha fatto meno persone di Carl Brave x Franco 126 perché fa un genere che si rivolge ad altri palati musicali, meno popolari rispetto a quelli dei suoi colleghi trasteverini. Perché il paragone non regge, ma soprattutto perché le equazioni musica-di-scarsa-qualità = successo e poca-gente = musica-di-nicchia non hanno mai retto. La questione qui è molto più profonda e complicata.
A un’occhiata disattenta si potrebbe affermare che a questa edizione del Roma Brucia ci siano stati tutti i segnali per qualcosa di importante: ovvero, che il cantautorato indie abbia fatto il suo tempo e che stia lasciando spazio ad altro. Eppure sarebbe un’affermazione scorretta. Il tutto perché (ATTENZIONE! LA STO PER SPARARE GROSSA) Carl Brave x Franco 126 non sono né un gruppo hip-hop, né un gruppo trap, né un gruppo rap, bensì sono del vero, sano, genuino… cantautorato indie.
Siete tornati a respirare? Bene, perché è ora di argomentare. Domenica sera ho assistito per la prima volta a un concerto di Carl Brave x Franco 126 accompagnati da una band. Ora, tralasciando i giudizi personali da un lato, la cosa che più fa riflettere è rappresentata dal singalong compulsivo che ha accompagnato ogni canzone. I ritornelloni di tutti i pezzi sono stati intonati a squarciagola da tutti i 5.000 e passa i presenti. Ma allora quanto e cosa cambia da un concerto di Calcutta? Cosa c’è di diverso, non tanto nella musica, quanto nella fruizione della musica di Carl Brave x Franco 126 rispetto a quella di una canzone dei Thegiornalisti? Poco o niente. Se il fulcro centrale delle composizioni sono le melodie, allora l’estetica di Carl Brave x Franco 126 resta speculare a quella del cantautorato indie. Il duo romano è una perfetta miscela pop con qualche barra rap di mezzo, molto più vicini agli Zero Assoluto che non a Marracash.
Giunti a questo punto è lecito domandarsi: cos’è che cercava il pubblico di ieri sera? Il lato indie di Carl Brave x Franco 126 o quello trap? Non lo possiamo sapere, ma in compenso possiamo allargare la prospettiva: Chi è stato a scegliere chi? È stato il pubblico dell’indie ad affezionarsi al rap o è stato il popolo del rap ad affezionarsi all’indie? La risposta, forse, è scritta nelle stelle.
Fatto sta che domenica sera nessuno ha perso, ma hanno vinto tutti. Ha vinto l’hip-hop, che ha trovato una nuova piattaforma espressiva e un nuovo modo per reinventarsi da cima a fondo. Ha vinto l’indie che è stato in grado di arricchire la sua offerta musicale senza perdere se stessa (anzi, per dare una risposta alle domande di prima, vincendo su tutta la linea), ma soprattutto ha vinto il pubblico, che si è goduto una serata spettacolare che forse ha significato veramente qualcosa, anche se non sappiamo ancora cosa.
Giovanni Flamini
Hai dimenticato di scrivere che ha perso la musica.