– di Giacomo Daneluzzo –
Ferrara, fine degli anni 2010. Questo è il contesto in cui nasce Ruggine, brillante esordio solista della giovanissima cantautrice Arianna Poli uscito nel 2018. Classe ‘99, Arianna ha già pubblicato un album nel 2017 con i Black Elk Tongue e ha fatto parte di almeno altre due band del ferrarese; dall’incontro col fonico-produttore Samboela (Samuele Grandi) nasce un disco che parla soprattutto di un sentimento complesso nei confronti del passato, dei ricordi, ma anche di Ferrara, di adolescenza, di contraddizioni e, in sostanza, dell’autrice e del suo mondo interiore.
Ruggine si distingue senz’altro per le ispirazioni eterogenee che si possono intuire, tanto nella musica quanto nei testi; se innegabilmente c’è molto della tradizione cantautoriale italiana, non da meno è l’ispirazione “indie” nelle canzoni della cantautrice – uno su tutti, forse, il concittadino Vasco Brondi – e quella di un certo punk distorto che emerge a fasi alterne movimentando le malinconiche melodie folk dei vari pezzi, spesso accompagnate da una chitarra acustica.
Per quanto riguarda i testi, ciò che si può notare è la notevole introspezione, unita alla netta impressione che la nostra giovane promessa abbia qualcosa da dire su di sé, ma anche sulla sua generazione (che poi è pure la mia). L’estetica che rappresenta attraverso i testi, sognante e decadente, dipinge una Ferrara immaginifica – citata tra le righe – che fa da sfondo a pensieri e sentimenti, ricordi di un passato destinato, col tempo, ad arrugginire.
Un bel mix, quello proposto da Arianna Poli, arrangiato e suonato in modo originale e tecnicamente impeccabile, che con un grande equilibrio di composizione musicale e testuale segna l’inizio di un percorso artistico più che promettente.