– di Giacomo Daneluzzo –
Anna Castiglia, classe 1998, è una cantautrice di Catania, tra i finalisti di Musicultura 2024 con il singolo Ghali, con cui ha anche partecipato a X Factor nel 2023. Lo scorso 16 aprile ha pubblicato Whitman, brano che vede la partecipazione di Ghemon.
La giovane cantautrice è davvero un unicum nel panorama attuale: a una notevole preparazione tecnica unisce una grandissima originalità lirica e compositiva, realizzando una proposta artistica che si muove sapientemente e con naturalezza tra generi e stili, temi e gusti diversi. Nei suoi live presenta una selezione di sue canzoni edite e inedite, con molti elementi di teatralità.
Siamo stati all’Arci Bellezza e le abbiamo fatto qualche domanda; ci ha raccontato molto di sé e del suo lavoro, mostrando una consapevolezza non comune in merito al proprio percorso artistico.
Dal primo singolo all’ultimo, Whitman, c’è stato un cambiamento continuo, un’evoluzione costante. Non sei rimasta a lungo in una comfort zone. Come mai? È stata una scelta ponderata o spontanea?
Sono consapevole di questa “incoerenza” musicale e stilistica che mi appartiene. In realtà le canzoni che sto pubblicando sono vecchissime, sono canzoni che suono da sempre, e anche Whitman l’ho scritta quattro anni fa, in pieno COVID. Avevo anche un po’ paura di destabilizzare il mio pubblico, visto che è molto diversa da Ghali e da Participio presente [i due singoli precedenti, nda], che sono ironiche, di protesta e teatrali. Whitman è romantica e, alla fine, pop. Pensavo: «Chissà come verrà presa, questa cosa». Però io faccio anche tante canzoni così e prima o poi avrei dovuto farle sentire! Nell’album ci sarà tutto questo. Tutto tutto.
È un dualismo, un bipolarismo, che ho e che, appunto, mi appartiene: da una parte canzoni più teatrali e dall’altra canzoni più pop, che sono invece personali, intime, “d’istinto”. E non c’è niente di studiato, mi è venuto molto naturale perché ascolto cose diverse tra loro, quindi suono, anche, cose molto diverse tra loro.
Hai detto che queste canzoni sono vecchissime. Lasciando passare molto tempo da quando le scrivi a quando le pubblichi…
…le odi! Non c’è altra soluzione. [Ride, nda]
Però nel frattempo hai modo di metterci mano più e più volte, no?
Tante, tantissime! Il testo di Whitman è stato scritto mille volte, perché è stato vittima… No, dai, vittima no, è stato oggetto di un laboratorio molto figo al Reset Festival di Torino, in cui ci ho lavorato con Eugenio Cesaro degli Eugenio in Via di Gioia, poi l’ho cambiata di nuovo, ora con Ghemon ha un’altra strofa… Anche suonando con formazioni diverse prendo qualcosa da ognuno: da una bassista con cui ho suonato ho preso una cosa che ho riportato, dal pianista di un’altra band ho preso una nota. Il «lalalalala» nel ritornello, per esempio, è di Eugenio.
Poi dipende: non tutte le mie canzoni hanno una genesi di questo tipo. Participio presente è nuova; quando l’ho pubblicata non l’avevo neanche mai suonata live, però era perfetta da pubblicare in quel momento, per via della tematica. E infatti è stato bellissimo, perché quando è uscita non la odiavo! [Ride, nda] Perché non l’avevo suonata tanto, l’ho registrata subito. Ed è stata scritta in un giorno.
Perché era il momento giusto per pubblicarla?
Perché ero appena uscita da un contesto che non era il mio [si riferisce alla sua partecipazione a X Factor, nda] e volevo riportare l’attenzione su chi sono e su quale categoria posso rappresentare, cioè quella degli emergenti. Inoltre in TV si ricevono pressioni estetiche notevoli. In quel periodo ho vissuto molto le situazioni problematiche di cui parlo in quel brano.
Non voglio comunque rinnegare quello che ho fatto. In Italia la TV è quella cosa che ti consacra e ti dà “credibilità”. Posso anche aver fatto cose più fighe, ma per mia nonna sarà sempre più figo quello.
Nel brano canti: «Participio presente, la parola “emergente” sembra un aggettivo ma è uno stato di mente». Che cosa significa oggi l’etichetta di “emergente”, che senso ha e come si declina?
Penso che in ogni cosa dovrebbe esserci più fluidità. Ci sta anche denominare le cose, rendersi conto di essere all’inizio. Però forse c’è un po’ l’effetto dei primini bullizzati da quelli del quinto anno. Ma più che dagli artisti – non sono tanto loro a bullizzare – dagli addetti ai lavori. Ma in realtà non sono neanche loro: è la logica dei numeri, che pone questa distinzione tra emergenti ed emersi, rafforzando questo binarismo. Ed è una divisione che secondo me è distruttiva.
A questo proposito per fortuna in questo periodo si sta ponendo l’attenzione, un po’, su questa cosa, grazie a sangiovanni [l’artista in seguito alla sua ultima partecipazione a Sanremo ha parlato pubblicamente degli effetti distruttivi della sua parabola professionale, nda] e agli artisti che si sono accodati a lui, tra cui proprio Ghemon. Hanno fatto notare quanto questa situazione sia pressante e per fortuna qualcuno sta capendo quanto anche le carriere lampo siano pericolose a livello mentale.
A proposito di Ghemon, com’è stato lavorare con lui a Whitman?
Lavorare con Ghemon è stato bellissimo, perché è un guru, lo dico sempre perché a livello umano è una persona saggia e un’ispirazione. Ci siamo proprio incontrati: fin da subito abbiamo fatto discorsi profondissimi. Per me il lato umano è fondamentale: se mi piace un artista e poi non mi piace a livello umano ci rimango malissimo. Invece in questo caso mi ha stupito in positivo. Collaborare è stata una ricchezza e sono contentissima che abbia scritto questa strofa, che abbia ridato vita a un pezzo per renderlo nuovo. Sono felice.
Anche la tua scrittura è molto diversa in questo brano, come mi accennavi prima.
È un’altra Anna, un’altra personalità che ho. È un modo di scrivere molto diverso, per esempio, da Ghali, che in realtà è stata scritta in tanto tempo ed è un esercizio di scrittura, è un’altra cosa; invece Whitman è qualcosa di istintivo e personale. Quando si parla di sé si trovano parole diverse, rispetto a quando si parla d’altro.
Ghali è un esercizio di stile, ma mi sembra che in generale i tuoi testi siano molto pensati. Mi sembra che ci sia sempre molto ragionamento, il che è anche una tua cifra molto valida, secondo me.
È vero che c’è molto ragionamento, ed è quello che a volte mi fa anche star male. La mia scrittura è sì molto ragionata in Ghali, ma ci sono canzoni in cui non è così – per quanto si tratti sempre di una scrittura “controllata”, perché io comunque controllo sempre molto e devo sempre trovare un senso, una rima.
In canzoni diverse, in cui non c’è un vero e proprio tema (come in Ghali, appunto) ma una volontà di espressione emotiva, la scrittura cambia totalmente.
È un binomio interessante, che rende a mio parere il tuo progetto artistico molto “tuo”, molto identificabile. Ti ho scoperta con Bovarismo, che mi è piaciuta molto anche se non ho letto Madame Bovary – rimedierò, ce l’ho sulla mia lista.
Muoiono tutti, io te lo dico. [Ride, nda]
Nel testo dici: «A volte vorrei avere la mia età, ma a scuola ero troppo diligente, Bovary era l’amica più presente». Questa frase è piuttosto…
…depressa!
Sì, ma anche da outsider. In che senso eri troppo diligente?
Ho rinunciato spesso alla vita sociale. A scuola ho passato molto tempo a studiare e a volte mi pento un po’ di questa cosa. Lo facevo sì per me, ma anche per dimostrare qualcosa e mi sono chiusa. Avevo degli amici, però comunque lo studio era sempre la prima cosa.
Dico che vorrei avere la mia età perché mi sento di non averla, anche se adesso sempre meno. Penso che ognuno abbia un’età “migliore” e penso di non aver ancora raggiunto la mia. Mi sento spesso fuori età, anche per le cose che faccio. Mi sento spesso un peso. Quando ho scritto quella frase avevo diciotto anni.
Quindi adesso ti senti meno “fuori” dalla tua età?
Sì, penso di starmi raggiungendo un po’, anche se comunque mi sento sempre un po’ più pesante dei miei coetanei.
Questa di Madame Bovary non è l’unica citazione letteraria presente nei tuoi testi. Un’influenza letteraria emerge in molte canzoni, tra cui naturalmente Whitman. Che rapporto hai con la letteratura? A scuola eri una grande studiosa: leggevi anche tanto?
In Whitman non dico niente su Whitman. Studiavo a recitazione una sua poesia, O me! O vita! (quella de L’attimo fuggente, per intenderci), che a un certo punto fa:
Risposta:
Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità,
Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso.
A partire dal lavoro che ho fatto in quell’occasione associo la parola “risposta” a Whitman. E da lì è nata Whitman. Anche Bovarismo non parla proprio di Madame Bovary. Sono colori, gusti, che ho avuto e che ho. Alla fine i miei testi sono superficiali. [Ride, nda]
Invece non leggo tantissimo. Leggo, sì, ma non tantissimo. A scuola più che leggere studiavo tanto.
Quindi tu fai teatro?
Ho un diploma in canto, danza, recitazione e musical alla alla Gypsy Musical Academy di Torino. In questo momento non sto facendo teatro, ma ho in mente di ricominciare, assolutamente.
Anche in quello che fai c’è molta teatralità.
Sì, è il mio obiettivo. Il mio obiettivo finale, infatti, sarebbe fare uno spettacolo musicale. Ai concerti tra l’altro faccio anche un mio monologo.