Basta una sola chitarra classica al musicista e compositore di Faenza Andrea Cavina, che proprio oggi pubblica questo suo primo lavoro di un’eleganza sopraffine e dallo spessore umano (prima ancora che culturale) davvero importante. Si intitola “10 Lettere” e sono dieci tracce di sola chitarra classica – e qui il suono della corda è determinante in tutto – dentro cui si dipanano ricami barocchi in varie accezioni, sfoggiando anche del sano pop, delle lungimiranti vedute rock sempre mantecate da quella radice classica che poi diviene altro nella deriva moderna.
“10 Lettere” è anche il significato figurativo di questo disco: 10 lettere che Cavina invia a 10 grandi personaggi della chitarra e della composizione, personaggi e artisti di levatura mondiale che hanno determinato uno stile e una cultura. Da Ludovico Einaudi a Pat Metheny, da Yann Tiersen a Maurizio Colonna… e non ultimo, forse il brano che immancabilmente sprigiona una dolcezza più vicina ad ognuno di noi, è “La nanna di Giovanni”, lettera destinata al figlio – senza privarsi però di mettere in conoscenza un eterno Mozart o un più ricercato ottocentesco Matteo Carcassi o Mauro Giuliani. Apprezzo moltissimo quelle lievi acciaccature che rendono umane e saporite le pennellate delle corde, quasi che ci si possa avvicinare allo strumento e al fiato del suo compositore. Personalmente non penso di avere un orecchio talmente educato da potermi permettere una critica didattica di ben altro livello, ma di quando in quando sottolineo qualche intenzione non propriamente liquida e padrona degli sviluppi… come a dire che l’intricato ricamo delle note – che per la maggior parte delle composizioni sembrano pensate per pianoforte – tradiscono una emozione forte quando concitate, quando il dialogo si fa sostenuto. Diversamente, l’emozione forte diviene tutta mia quando i brani si rilassano e lasciano trasparire le attese, i silenzi e la grande quiete contemplativa. Eppure, “10 Lettere” non distrae, non allontana, non diviene polvere e sottofondo. Resiste e rapisce forse anche grazie al grandissimo potere visionario che Cavina sa restituire proprio dalla diteggiatura scelta e dal suono artigianale che arriva dal modo di pensare all’esecuzione. Ovviamente i miei sono personalissimi modi di reagire al disco e ad un ascolto che devia moltissimo dalle abitudini dei nostri dischi della santa scena indie. Ma la musica italiana passa anche e soprattutto da qui.