– di Angelo Andrea Vegliante.
ph. Leo Andreula –
Il terzo album di Andrea Cassetta, “Di cattivo gusto”, è il prodotto ultimo di chi, a un certo punto, non ce la fa più e non riesce a trattenere ancora a lungo quella rabbia umana, attivistica e contemporanea insita (nel bene o nel male) in tutti noi. Attenzione però: non si tratta di politicizzare il proprio pensiero, bensì di ritrovarsi come un individuo facente parte di una comunità alla quale, purtroppo, non ci si identifica più. In linea generale, possiamo riassumere così la nuova opera di Andrea Cassetta, quasi come fosse una metafora di un’ode intricata ed espressa attraverso sentimenti quali rabbia e frustrazione, da indicizzare verso il contesto della rivalsa sociale. In questo specifico caso, l’obiettivo sembra essere deputato a riassoggettarsi come parte di una collettività culturale matura – assente nell’attualità.
Badate bene, non è quella rabbia e frustrazione tipica dei leoni da tastiera. Anzi, Andrea Cassetta ha un brano apposta per loro: “Ipocriti di merda”, appunto, primo estratto e prima traccia del disco, che si prefigura come la linea di partenza di un processo interiore volto a comprendere come mai ci sentiamo così slegati da una contemporaneità sociale dedita solo a denigrare il prossimo come modus operandi comune, in ogni campo. Ciò che ‘fermenta’ nell’animo dell’artista è il desiderio di combattere determinate andamenti che, oramai, fanno parte del nostro incedere quotidiano.
Il fil rouge descrittivo in “Di cattivo gusto” è un elenco di categorie alle quali Andrea Cassetta ha qualcosa da recriminare. Capita di parlare alla stessa società in “Schiavi in libertà” o direttamente alle dinamiche della musica attuale in “La scena underground”, fino ad ascoltare quella che sembra essere una sintesi della propria incazzatura con “Quello che penso”. Tra i nove brani proposti dal cantautore rock, questi sicuramente sono i più apprezzabili.
Tuttavia, tra le canzoni più piacevoli, vale la pena sottolineare “Radio Feccia”, il singolo che chiude l’album e apre a un’ampia riflessione sull’uso dei turpiloqui nei testi. In un contesto dove la parolaccia di turno serve per denigrare, di fatto, il rischio è di abbassarsi a tale tipologia di linguaggio. Non è il caso di Andrea Cassetta, il quale sforna il turpiloquio per rimarcare quanto il nostro avvilimento sia deputato a parole non proprio semplici da ascoltare. La parolaccia, in questo caso, diventa testimonial della realtà della quale ci sentiamo partecipanti disillusi e spettatori incerti.
L’ingrediente comune resta il rock, marchio tipico di Andrea Cassetta. Stavolta però, rispetto agli album precedenti, l’artista mostra sonorità più incisive, grintose, rabbiose, taglienti, caotiche e stridenti. Una scelta artistica idonea con i temi trattati nel disco: c’è confusione nella società moderna, non solo di temi, ma anche di brusii, risorse, certezze. L’atmosfera dipinta è decisamente attuale e in linea con la collera contemporanea.
Rispetto ai lavori precedenti, in “Di cattivo gusto” emerge un Andrea Cassetta senza filtri, preda consapevole della propria rabbia, da cui tuttavia emergono anche paure e incertezze per un mondo decisamente allo sbando e privo di qualsiasi etica o morale. E, dunque, a una lettura più approfondita emerge una nuova interpretazione del lavoro del cantautore: la richiesta di tornare a una collettività più serena, presente e cordiale, riqualificare le nostre anime verso un sentimento di purezza e rispetto nei confronti del prossimo. Insomma, riottenere quella parvenza di umanità che sembra ormai abbiamo perso a favore dell’avanzare della paranoica denigrazione.