– di Sara Fabrizi.
Lo scorso 2 ottobre ha visto la luce il secondo full lenght del cantautore An Early Bird (al secolo Stefano De Stefano). Il nuovo album era stato anticipato da una manciata di singoli dipanatisi a partire dallo scorso febbraio, il titolo è Echoes Of Unspoken Words.
Titolo che ci dà subito l’idea di evanescenza, di non netta definizione che caratterizza il lavoro a livello testuale e a livello stilistico. Per un artista che muove dal new folk è questo un approdo ad un discorso più vario e più intimo, che non disdegna un po’ di elettronica e un’introspezione maggiore anche se sussurrata. L’eco delle parole non dette è di fatto un ossimoro, perché qualcosa che non viene detto non può avere una eco. Eppure è nella zona d’ombra delle parole mai del tutto pronunciate che risiede la verità cui agogniamo e di cui abbiamo paura. È questo disco un viaggio dentro le sfumature dei nostri pensieri ed esperienze più personali. Tutto condotto su sonorità alla Kings Of Convenience, alla Sparklehorse ma anche alla Cat Stevens. Chitarre eteree e synth per dare quel tocco di folktronica così amata negli ambienti dell’alt folk.
11 brani che si susseguono senza grossi scossoni, rivelando una omogeneità di fondo piacevole e rassicurante. Abbiamo bisogno di calma e di mente serena per affrontare le verità che temiamo. E l’intero disco sembra guidarci in questo percorso introspettivo da cui usciamo di sicuro più sinceri. L’evanescenza e l’anima maggiormente acustica di alcuni brani (Stay, Racing Hearts, State Of Play) è un’iniezione di riflessività a cui fa da contraltare il maggior groove di pezzi come Talk To Strangers, From Afar. Il crescendo fra i vari brani non pregiudica assolutamente l’equilibrio di fondo che è fatto di delicatezza sia nel finger style che nel ricorso all’elettronica. E c’è qualcosa che riporta alla mente The Smashing Pumpkins. Atmosfere sognanti per descrivere anche le storture della vita. Un bell’album ricco di evocatività fortemente consigliato.