– di Riccardo Magni –
Alosi è il nome scelto da Pietro Alessandro Alosi per il suo progetto solista. Il suo primo disco, 1985, un album rock come difficilmente se ne sentono suonare ultimamente in Italia, è uscito ad aprile 2019, anticipato in marzo dal singolo che poi era anche la title track, 1985 appunto. Album pubblicato con La Tempesta Dischi proprio come i quattro realizzati dal 2010 al 2017 con Il Pan del Diavolo di cui Alosi era la voce (ma non solo), il primo dei quali, Sono all’Osso, vedeva la luce esattamente 10 anni fa, il 15 gennaio 2010.
Proprio in occasione di La Tempesta su MArte, l’evento organizzato al Largo venue in collaborazione con MArte Live per la consueta festa invernale dell’etichetta, il suo tour ha toccato Roma per la seconda volta. Così, dopo aver amato il disco ed essere stati travolti dall’energia di quel primo live capitolino, abbiamo voluto incontrare Pietro Alessandro Alosi e sentire dalla sua voce cosa è successo tra il 2017 ed il 2019, tra quell’ultimo incredibile live (sempre a Roma poi!) de il Pan del Diavolo in conclusione del tour per l’album Supereroi, a 1985, uno dei dischi italiani più belli del 2019.
Il primo disco del tuo progetto solista è uscito da qualche mese, quasi un anno possiamo dire. Partendo da lontano, la tua esperienza con Il Pan Del Diavolo è stata lunga e – penso – abbastanza totalizzante. Com’è stato il passaggio a quest’altra realtà?
È stato bello, perché ho affrontato un mondo musicale e personale nuovo. È stato un nuovo innamoramento, importante per tenere il lavoro vivo.
Quale esigenza, personale più che altro, ti ha portato a fare questo disco e a farlo così diverso anche da quello che era il sound precedente?
La mia vita, le classiche situazioni che cambiano, ma soprattutto una necessità artistica. Io sono cambiato, non ho più vent’anni, come quando suonavo con Il Pan Del Diavolo. Quindi, l’esigenza di comunicare cresce. Questa è la sfida di chi scrive musica: continuare ad aggiornare quello che fa, non solo per quando hai vent’anni ed è più facile esprimersi e quando i ventenni sono i tuoi coetanei.
Tra l’altro, hai scelto di registrare questo disco in presa diretta. In qualche modo, forse, questo facilita poi la resa dal palco, però, cosa è cambiato tra la registrazione in studio ed il suonarlo live?
Ti rispondo all’ultima domanda. È cambiato che ovviamente, suonandolo dal vivo, si è creato un affiatamento fra i musicisti. Quindi, il respiro del live è sicuramente diverso da quello dell’album. Registrarlo in presa diretta, sì, perché c’era bisogno di energia che corresse sul nastro. Volevo fare un viaggio musicale forte in tutti i sensi, sia come genere, come tecnica di scrittura, che si prende tempo, e come impronta sonora.
Hai girato parecchio. Sei reduce anche da una parte di tour con Piero Pelù. Che esperienza è stata?
È stata un’esperienza che conferma che in Italia un pubblico rock adulto c’è, ma ha bisogno solo dell’occasione per ritrovarsi. Piero si è confermato un grande animale da palco. Grandi maestri di vita e di musica. Nonostante noi lì avessimo sui trentacinque, per loro eravamo i pischelli con tanta roba da imparare. È stata un’esperienza figa e rock ‘n’ roll. Niente di particolarmente pomposo, ma efficace.
Stai trovando differenze nel girare con questa formazione rispetto a prima, che eravate in duo?
La vita di strada si assomiglia. Ovviamente le persone cambiano e le esperienze sono diverse. Siamo molti di più e c’è più caos.
Dal pubblico, più che dalla critica, che riscontri hai avuto riguardo questo disco? È una cosa molto personale quella che hai fatto con questo album. Senti che i messaggi che volevi far passare siano arrivati? Che risposta stai avendo?
Ho avuto una risposta precisa da certe persone che hanno capito affettivamente cosa c’era dietro l’album. Anche se non ho avuto una grande esposizione mediatica, la risposta è stata quella che avrei voluto. C’è stato chi si è calato nei miei panni, chi mi ha sorpreso, perché si è sentito in sintonia con quello che ho fatto.
Contento, quindi?
Sì, sono contento.
Davvero quella del 6 dicembre a La Tempesta Su MArte è stata l’ultima data del tour di Alosi?
No, no, era l’ultima data del 2019. Spero di fare un altro giro in primavera, qualcosina in estate e poi vediamo.
Bene, mi stavo preoccupando.
Parlando de La Tempesta, ti chiedo del tuo rapporto personale con l’etichetta ora e anche prima, dato che da parecchio tempo lavori con loro.
Sì, la definirei l’adozione musicale di un bastardo, che suonava un folk-punk. Loro hanno creduto fin da subito nel progetto e, a distanza di dieci anni, mi ritrovo ancora a lavorare con loro. La Tempesta mi dà molta fiducia. Il rock ‘n’ roll non basta mai, ma intanto La Tempesta c’è ancora.
È anche difficile immaginarti con altre realtà… La Tempesta ha dato davvero voce alla storia della musica indipendente in Italia.
Le etichette si contano sul palmo di una mano, i coraggiosi sono uno o due. La Tempesta sicuramente è coraggiosa. Loro hanno dato fiducia a me ed io do ancora la stessa fiducia a loro. Si vede, si costruisce passo per passo. Non è una vera e propria etichetta, come dicono loro, ed effettivamente non lo è, però la musica continua a girare.