– di Manuela Poidomani
e Giacomo Daneluzzo –
Capello riccio, cadenza toscana e spirito libero: ecco Daniele Aliperti, classe 2000 cantautore di Lucca che ama la musica fin dall’infanzia. In occasione dell’uscita del suo terzo singolo, dal titolo Liquore, abbiamo avuto il piacere di scambiarci quattro chiacchiere su Zoom, in un ambiente che, seppur distante e lontano dalla definizione di “caldo e familiare”, abbiamo cercato di rendere il più possibile amichevole e spensierato. Aliperti è un ventenne con un’irresistibile voglia di farsi conoscere racchiudendo le sue sensazioni in immagini, che mostra attraverso parole e musica. Sotto l’etichetta indipendente montecatinese Formica Dischi, Aliperti è pronto a continuare a produrre i suoi brani e non vede l’ora di poter tornare presto a esibirsi dal vivo.
Giacomo | Il tuo ufficio stampa ci ha detto che prima di noi avevi un’intervista radiofonica. Com’è andata?
Devo dire molto bene. È da poco uscito il mio nuovo brano, Liquore, e devo dire che sono contento. Siamo entrati in alcune playlist tra cui Generazione Z e stiamo facendo un po’ più di ascolti rispetto al solito.
Giacomo | A proposito, l’espressione “Generazione Z” indica sia la mia che la tua generazione, dato che siamo coetanei. Forse anche quella di Manuela, dato che va, più o meno, dalla metà degli anni ’90 fino al 2010. Secondo te quali sono i tratti di questa Generazione Z, le caratteristiche più evidenti?
Musicalmente la tristezza – e non lo dico da “tipo depresso”, dato che non mi tiro giù facilmente. Bella domanda, comunque… Ne parlavo giusto qualche giorno fa con i ragazzi di Formica Dischi. Alla fine i generi che stanno funzionando in questo periodo in Italia sono il rap e l’indie, che poi, fondamentalmente, è il nuovo pop. Ti direi, sì, una sonorità un po’ “triste”.
Manuela | Pensi di essere tra quelli che nei momenti di tristezza riescono a tirare fuori il meglio di sé?
Io mediamente sono meno triste di altri. Per me è molto difficile scrivere nei momenti in cui sono all’apice del male. Penso che ci siano cose che vadano prima vissute e poi metabolizzate. Una volta che si hanno questi due passaggi si riesce a elaborare la cosa e a tirare fuori le sensazioni con la chitarra. Se si vuole scrivere tanto è impossibile parlare solo di sé; questo non vuol dire scrivere di cose non vere: se uno vuole scrivere cose che non ha vissuto in prima persona, ma che sente comunque sue, vuol dire che anch’essa sarà una canzone “vera”.
Manuela | Quindi i tuoi testi sono autobiografici?
Io spesso mischio, i miei testi sono un po’ autobiografici e un po’ no. La maggior parte delle volte parto da qualcosa che ho vissuto in prima persona ma ribadisco: se dovessi immedesimarmi così tanto in una cosa che non ho vissuto in prima persona alla fine anch’essa diventerebbe comunque parte di me. Diciamo che questo è un metodo che utilizzo anche per trovare ispirazione nella scrittura e per non utilizzare sempre le stesse parole.
Giacomo | Nella tua giornata tipo quanto tempo dedichi alla scrittura?
Be’, ovviamente dipende dalla giornata: a volte anche tutto il giorno. Dipende davvero dall’ispirazione del momento.
Manuela | Tu oltre che cantautore sei anche uno studente, giusto?
Sì, studio economia e commercio. Penso che chi non è famoso abbia l’assoluta necessità di fare altro. E poi diciamocelo: se non vivi e fai solo quello poi di che parli nei tuoi pezzi?
Manuela | Qual è il tuo primo ricordo legato all’ambito musicale?
Guarda non me lo ricordo neanche. Cioè vi spiego meglio: mia mamma è una cantante lirica e da quando sono nato ho subito iniziato a suonare il piano. Questo mi è servito moltissimo perché, per quanto non avessi questa grande predilezione per la musica classica, è fondamentale per la teoria musicale, che mi ha portato ad avere subito dimestichezza con la chitarra. Forse questo del pianoforte è il mio primo ricordo, anche a livello di scrittura. Tra l’altro una cosa bella, che non ho mai detto a nessuno è che mio fratello – che ha sette anni più di me e che ha avuto il mio stesso percorso musicale, anche se lui adesso fa tutt’altro – ha iniziato a scrivere in quello stesso periodo e dentro di me è scaturita una sorta di competizione nei suoi confronti. Capitemi, insomma: volevo scrivere meglio di lui. Devo a lui il mio primo approccio con la musica leggera, cantata, e il mio amore per essa. È stato lui a farmi ascoltare i miei primi due dischi, ovvero American Idiot dei Green Day e Stadium Arcadium dei Red Hot Chili Peppers. Infatti all’inizio ero molto più sul rock… Avevo anche una band! Sì, lo ammetto, inizialmente ero un insopportabile purista del rock.
Giacomo | Mentre ora sembra che tu sia più sull’ambito indie/itpop… Che significato dai al termine “indie”, al giorno d’oggi?
Quelli della mia etichetta mi prendono in giro, perché mi dicono che l’indie è semplicemente il nuovo pop. E alla fine in questo c’è una punta di verità: la sua base storica è il fatto che nasca come musica fatta da etichette discografiche indipendenti – e quindi non dalle major – ma ad oggi questa definizione non c’entra più niente. “Indie” in Italia indica la musica di un certo tipo, con una certa sonorità, un certo testo. Forse questo deriva anche da cantautori come Calcutta e I Cani. Ora come ora, però, si perde anche quel senso lì, perché se dentro questo genere si mettono gli Psicologi, Frah Quintale, Gazzelle… il gioco non regge, proprio perché appartengono tutti a mondi molto diversi, con contaminazioni di ogni tipo. Quindi, se ti devo fare un’analisi più fredda, per me l’indie non è solo qualcosa strettamente legato alla musica ma è più un modo di approcciarsi alla musica. È l’essere se stessi al cento per cento. Mi vesto in un determinato modo perché mi va; scrivo una canzone perché mi piace. La chiave dell’indie quindi è la spontaneità.
Manuela | Nei tuoi pezzi sembra che il principale filo conduttore sia l’amore. Si tratta anche qui di qualcosa di ideale o è più autobiografico?
Dipende. Alcuni sono totalmente autobiografici, altri un po’ meno, ma comunque tutti parlano di me. Il mio focus è incentrato sulla persona di cui parlo, sulle relazioni tra le persone, su quello che ci si può dare a vicenda. Anche se sono semplicemente dei ricordi stupidi mi piace associarli a delle immagini. Se un brano ti dà questo per me è bellissimo. Non bisogna per forza trovarci una definizione. Ognuno deve percepire qualcosa di suo. Nel momento in cui un autore regala una canzone ognuno deve scriverci sopra. Sta qui il segreto.
Manuela | Hai già avuto qualche esperienza di live?
Con il progetto Aliperti ho fatto solo un’apertura al concerto dei Legno all’Officina Giovani, a Prato. Tra l’altro vi dirò che sono stato molto fortunato, perché il live era all’aperto e dopo poco la mia esibizione ha iniziato a piovere e hanno dovuto annullare tutto. Quindi alla fine sono stato l’unico che ha suonato, durante quella serata.
Manuela | Com’è nata l’iconica copertina di Liquore?
Non è merito mio, ma amo stare dietro a questo aspetto. Avevo dato delle linee guida perché, secondo me, ora come ora le copertine dei miei tre brani iniziano ad avere un senso. C’è un filo conduttore, un significato connesso. Si legano molto al mio modo di scrivere, un po’ “fotografico”. Non sono disegni, sono fotografie, immagini molto concrete, tangibili: la schiena di una ragazza per Fard, un piatto di insalata per Sola e una strada con degli hotel per Liquore.
Giacomo | In effetti il tuo stile di scrittura è ricco di immagini concrete, tangibili, reali; anche il tuo modo di parlare dell’amore è molto diretto: c’è dietro una ricerca testuale di qualche tipo?
Sì, è una cosa voluta. È un passaggio che ho fatto circa un anno fa, quando ho scritto un pezzo (che non uscirà mai), che mi ha portato a cambiare il mio modo di vedere le cose.
Giacomo | Sei di Lucca, città che personalmente associo al Lucca Comics & Games (fiera internazionale dedicata al fumetto, all’animazione, ai giochi da tavolo e ai videogiochi che si tiene con cadenza annuale, ndr), a cui sono andato varie volte. È un ambito che t’interessa?
Il fumetto generalmente no, anche se ho un sacco di The Walking Dead – da piccolo ero fissato. Però sono un patito del genere fantasy: il mio film preferito in assoluto è Il Signore degli Anelli e sto provando a leggere il libro. Dico “provando” perché Tolkien è molto descrittivo e all’inizio mi sono spaventato per quanto si dilungasse, rispetto al film, nelle descrizioni. In ogni caso si tratta di un capolavoro.
Manuela | Se dovessi scegliere una canzone importante per il tuo vissuto quale sarebbe?
Cavolo, è difficile. Forse uno dei brani meno famosi di Calcutta, come Amarena, Limonata o anche Due punti. Sarò onesto: adesso sono molto in fissa con Gazzelle.. È un cantautore che non ne sbaglia una. Poi dei Legno, che amo, direi Le canzoni di Venditti e Febbraio, che è la mia preferita in assoluto. Però aspettate, ce l’ho, l’ho trovata! Consiglierei Autostima degli Psicologi (ma anche Tatuaggi, quella con Ariete). Oddio, non so scegliere… Dite che vale come risposta?