ALEX CASTELLI
CADUTI LIBERI
L’esordio solista del cantautore bergamasco è un viaggio nei suoni del rock
Spesso c’è quel confine sottile tra cantautorato e rock che non ha un vero nome, ma ha volti e suoni perfettamente riconoscibili e identificabili. Forse è un genere tutto italiano, chissà, ma certamente in Italia continua a dire e raccontare qualcosa, anche adesso che il mondo della musica è in mano dalla generazione Z crescita a itpop e trap.
Alex Castelli non è certo un esordiente, né tantomeno un dilettante. Attivo nel circuito di Bergamo negli ultimi 20 anni, ha dalla sua l’esperienza con tante formazioni, di cui forse la più rappresentativa è quella con il Manzella Quartet, con cui si qualifica finalista a Italia’s Got Talent.
Nel 2020, poco prima del lockdown, pubblica il suo primo vero e proprio disco solista, “Caduti liberi”, una raccolta di dieci brani dove il talento compositivo e musicale di Alex viene fuori in maniera chiara e decisa. Il disco infatti ha la forza di attraversare i generi e gli approcci, senza rinunciare a una propria ben definita identità musicale: il formato in power trio vede infatti Alex Castelli alla chitarra e voce, Juri Brollini al basso e Simone Gallarini alla batteria, per una formazione compatta che conosce i propri strumenti e suona divertendosi.
“Caduti liberi” non si accontenta infatti di tirare fuori uno o due brani di qualità e appaiargli qualche riempitivo: tutto l’album ha un proprio percorso, una propria dignità e l’interesse non scema mai traccia dopo traccia. Le influenze quasi bossa nova di “C’è di mezzo il mare”, col suo sostenuto uptempo, apre le danze, mentre “Stanno uccidendo la musica” – primo singolo estratto dall’album – si candida come j’accuse ideale e rivendicazione artistica da parte di Alex e la sua band.
Sopra tutto emerge il talento chitarristico di Castelli, che ha sempre il suono adatto, come quello etereo e sognante di “Salta” (il pezzo più forte del disco) o il riff giusto, come quello singhiozzante di “Solo”. Ma c’è spazio anche per la power ballad di “Il dio che è in me” o la weirdness di “Gabriele”, brani quasi speculari nel loro approccio lirico.
Nel disco, il frullato di stili e influenze si sente: chiaro che ci sono molti anni ’90 – e la splendida “Panem et circenses” , dalle atmosfere modali, lo dimostra – ma non c’è mai il calco diretto da questo o quell’artista, non si avverte mai la sensazione di star sentendo qualcuno che “suona come”. È come se tutti gli ascolti avessero aiutato a definire la personalità di Alex Castelli, senza rinchiuderlo in una scatola facilmente etichettabile.
Del rock, in fondo, Alex non prende soltanto il sound e l’approccio, ma anche una certa voglia di urlare, di dire le cose in faccia, di usare le canzoni come megafono per le proprie insicurezze e frustrazioni, ma anche per rivendicare la propria voglia di reagire, di esserci e di riprendersi quello che è suo.
Nel complesso, “Caduti liberi” è un ottimo esempio di scrittura e di perfomance, che mostra la versatilità del suo autore, che ha tanto da dire e molto da suonare.