Timidi sentori di un rock ferroso, di strada dentro distese di sospeso folk dai toni scuri e introspettivi. Le liriche di Alessandro Pacini poi sono sempre state lontane da una banale immediatezza, cercando un equilibrio tra la melodia gustosa e una soluzione finale che abbia degne distanze dalle attese in ambito italiano. Un disco che suona davvero esterofilo questo “Pausa siderale”, un lavoro concentrato sul proprio se, sulla ricerca spirituale e su un suono in cui passato e futuro dialogano amabilmente. Paolo Messere della Seahorse Recordings pubblica a produce artisticamente il disco suonando in prima linea i synth, la sezione di drumming e le orchestrazioni. Un disco pregiato che dobbiamo sottolineare con attenzione.
Partiamo dal titolo. Siderale questa pausa, eterna, infinita. Significa morte in qualche modo?
La morte c’entra in qualche modo: è in contrasto con la vita e con essa rappresenta la condizione interiore dell’uomo. Nel titolo “siderale” è utilizzato nella sua accezione letterale, ossia “delle stelle, degli astri”. Ho voluto utilizzare questo termine per indicare un legame tra l’universo contenente l’insieme dei corpi celesti e quello interiore dell’essere umano: due spazi in cui si alternano ordine e caos.
E restando su questo concetto interessante… come la vivi personalmente questa “pausa siderale”?
“Pausa siderale” rappresenta una sospensione introspettiva che ha avuto origine da una condizione di smarrimento, di disordine e frammentazione interiore. È una pausa in cui l’uomo, attraverso delle riflessioni, compie una ricerca e un’analisi di se stesso. Io la vivo in questo modo: provando a raggiungere una maggiore consapevolezza di me stesso, osservando e analizzando il mio spazio interiore; tentando lentamente di risanare la mia anima, riparando le parti danneggiate e ricostruendo quelle distrutte.
Dal tuo disco evado fino a ritrovare quel famoso “silenzio” di Cage. Cosa c’è tra le pieghe del suono e quanto è importante il “silenzio” per te?
Tra le pieghe del suono ci sono emozioni e sentimenti contrastanti: moti turbolenti che fanno rumore, implodono, lacerano e disintegrano. Attraverso la frammentazione si giunge all’introspezione: la pausa, il silenzio, l’osservazione e l’analisi interiore.
Il silenzio per me è importantissimo perché mi aiuta a riflettere. Spesso lo cerco nella quiete della notte: è in quel momento che i pensieri si dilatano e finalmente ritrovo la mia dimensione più intima.
Molto del disco ha un potere visionario che evade dalle cose concrete di oggi. Il disegno e le illustrazioni… derive altre dalle normali immaginazioni. Posso chiederti perché
È il mio modo naturale di approcciarmi alla scrittura. I miei testi sono ricchi di immagini. Nel sondare l’animo umano la realtà inevitabilmente perde la sua concretezza e lascia il posto a visioni: surreali, oniriche e malinconiche; spesso angoscianti, caratterizzate da distruzione e desolazione. Il disco è permeato di amarezza e disincanto; quando emerge la speranza, questa appare come un lume nell’oscurità, cercando di risollevare l’animo umano in cui regna l’inquietudine.
Possiamo parlare di concept album? La terra, l’uomo, le sue infinite battaglie?
Può essere inteso come concept album se consideriamo che tutti i brani sono legati da temi che ruotano attorno all’interiorità dell’essere umano e al suo rapporto con la realtà che lo circonda: il turbamento, l’abbandono, l’incertezza e lo smarrimento; il senso di incompletezza e di vuoto; la speranza e la ricerca interiore come cura.