– di Martina Rossato –
In pieno stile Andrea Laszlo De Simone, “I nostri giorni” arriva silenzioso, si insinua tra le nostre playlist e le nuove release lanciate da Spotify senza far rumore.
Allo scoccare della mezzanotte, la canzone è semplicemente comparsa sulla piattaforma e l’inconfondibile suono di ALDS non ha potuto far altro che cullare la mia insonnia, accompagnandomi fuori dagli incubi che mi stavano attanagliando in questa movimentata notte settembrina.
Potrà sembrare strano, data la cupa tematica del brano, ma non ci sarebbe potuto essere racconto migliore.
Per la me di qualche ora fa, Andrea Laszlo De Simone si era ritirato dalle scene da più di un anno, a dire il vero – va ammesso – con un arrivederci, più che con un addio. È proprio per questo che il nuovo singolo è suonato alle mie orecchie ancora più spontaneo e sincero: un’ulteriore prova del fatto che l’artista non abbia bisogno di grandi pubblicità per arrivare al cuore delle persone.
A qualche ora dalla pubblicazione, questa mattina l’artista ha scritto e pubblicato sui social un post in cui racconta la genesi di questa canzone così triste, donata al pubblico in un periodo in cui chiunque vorrebbe pensare alla vita, più che alla morte. Si scusa per questo, ma ringrazia tutti “noi esseri umani” anche per il “coraggio eccezionale” di cui ci siamo dimostrati capaci in questi duri anni.
In fondo, “I nostri giorni” non è altro che la perfetta antitesi di “Vivo”, un brano nato tre anni fa ma pubblicato solo oggi che, parlando di morte, esalta la voglia di vivere.
Forse, non c’è un momento giusto per ascoltare queste note così cupe.
Con la sua ampia intro strumentale “I nostri giorni” ci obbliga ad andare in un’unica direzione, come se camminassimo attraverso una fitta selva da cui non possiamo scappare e a cui non possiamo più volgere le spalle. Procediamo tutti fianco a fianco, calpestando le foglie secche che fanno da tappeto a questa strada inquietante, senza scelta né un motivo. Tanto vale prenderci per mano.
Andrea Laszlo De Simone è bravissimo a farci aprire gli occhi, e questa volta lo fa smuovendo qualcosa da dentro tramite il profondo senso di angoscia che il pezzo lascia nell’ascoltatore. Ci obbliga a riflettere, senza abbandonarci soli in questa sofferenza universale.