Spesso pensiamo ai musicisti come persone che nella vita fanno appunto solo quello: suonare, scrivere canzoni e girare il mondo (o l’Italia) in tour. Mentre questo è certamente vero per un ristretto numero di fortunati artisti popolari, la maggior parte dei musicisti, spesso anche di band considerate “famose”, per arrivare come si suol dire a fine mese sono costrette a fare anche un altro lavoro, quello che “paga le bollette”. In questa rubrica andiamo a curiosare in quest’aspetto spesso poco considerato, chiedendo ad alcuni artisti del panorama italiano di raccontarci la loro vita lavorativa extramusicale.
I Plug Out Head sono un gruppo alternative rock con forti influenze punk; al momento si dividono fra Reggio Calabria, loro città d’origine e tuttora luogo di residenza di Bruno (cantante) e Davide (chitarrista), e Milano, nuova casa per Isabella (batterista) e Gianluca (bassista). A settembre è uscito “Apocalyptic Dream”, il nuovo EP della band, arrivato a cinque anni di distanza dal disco d’esordio “Milkshake“. Ci siamo fatti raccontare proprio da Gianluca il suo lavoro di programmatore Java back end, un lavoro forse insospettabile per una rock band.
Ciao Gianluca! In cosa consiste il tuo lavoro?
Il mio lavoro consiste nella creazione di applicativi web. Nello specifico, io lavoro dal lato back end, ovvero quello della gestione di tutto il meccanismo tramite cui gli utenti possono usufruire di un sito, e della gestione di richieste che arrivano sul server.
Come sei arrivato in questa posizione e come la concili con la tua attività musicale?
Ho studiato ingegneria dell’informazione, quindi sono arrivato a questo lavoro in un modo abbastanza “classico”. In realtà sia negli scorsi anni, sia in questo momento non ho mai avuto grosse problematiche a conciliare questo tipo di attività con la musica, e ora essendomi trasferito a lavorare a Milano trovo che sia ancora più semplice perché molte delle opportunità musicali sorgono proprio in questa città.
Pensi che la tua professione abbia qualche influenza sul tuo modo di suonare e di fare musica?
Posto che ogni cosa secondo me influenza la nostra personalità, non so se si può parlare di vera e propria influenza sul modo di fare musica, ma la mia professione mi avvantaggia sicuramente ogni qualvolta c’è da fare qualcosa di “tecnologico” relativo alla band, che vada dai semplici caricamenti sulle piattaforme di distribuzione online come Spotify e YouTube a cose più “complesse” come la gestione dei siti o la creazione tecnica di contenuti.
Hai qualche aneddoto o storia curiosa da raccontarci legata al tuo lavoro extramusicale?
Era la mia prima settimana di lavoro nella nuova azienda e stavo lavorando al PC quando a un certo punto è partito l’allarme antincendio. Essendo arrivato da poco non mi avevano avvisato che quel giorno ci sarebbe stata la prova antincendio, per cui il pensiero istantaneo fra me e me è stato “la prima settimana e qui già saltiamo in aria”. Ma potete immaginarvi il colpo che mi sono preso quando subito dopo vedo il collega in fondo alla stanza saltare dalla sedia e allontanarsi di fretta con il cuore pulsante; in realtà poi ho scoperto che si era spaventato solo perché era quello che si trovava appena sotto l’altoparlante dell’allarme.
Come vedi le prospettive future nel tuo ambito?
Durante la pandemia alcuni settori hanno avuto difficoltà, altri hanno avuto una crescita e altri ancora sono rimasti invariati. Io non l’ho vissuta come una cosa necessariamente negativa; anzi, personalmente parlando, ha apportato un beneficio che è stato lo smart working. A me non piace Milano, non lo nego, e lo smart working mi ha permesso di lavorare per Milano stando a Reggio Calabria. In generale le prospettive per il mio lavoro sembrano abbastanza positive: è un settore che difficilmente può andare in crisi secondo me. Semmai il problema principale è rappresentato da minacce come ransomware o dati rubati: lì sì che sono guai.