– di Giacomo Daneluzzo –
Ainé torna con un nuovo progetto discografico, intitolato “Alchimia” e uscito per Virgin Records Italia / Universal Music Italia. Si tratta di un EP, presentato al Biko di Milano, che sancisce un nuovo inizio ma anche un punto d’arrivo per quanto riguarda l’identità artistica del cantautore, ormai raggiunta e consolidata, e la direzione che ha intrapreso. L’EP è ricco di collaborazioni (Davide Shorty, Clementino, Sissi, Essi, Serena Brancale e Tormento) e di contaminazioni sonore, senza però che vengano abbandonate le sonorità soul, neo soul e R&B, che caratterizzano la produzione di Ainé.
L’ho incontrato presso la sede italiana di Universal, a Milano, e gli ho fatto qualche domanda a proposito di “Alchimia”, del suo progetto cantautorale. Ecco che cosa mi ha raccontato.
Ciao Ainé! È uscito da poco “Alchimia” e oggi sei qui in Virgin Records (Universal Music Italia) a fare interviste da tutto il giorno.. Come stai?
Quella di oggi è proprio una full immersion! Bene, stanco ma bene.
“Alchimia” è il tuo ultimo progetto: qual è stata la genesi di questo EP e quali sono le differenze, secondo te, rispetto ai capitoli precedenti del tuo percorso?
È un capitolo nuovo, ma comunque “non nuovissimo”, direi, perché alla fine ho sempre usato sonorità di questo tipo, forse nello scorso album c’è stato un cambio d’influenze più importante, perché strizzava l’occhio ad altre sonorità, per via di una mia curiosità, voglia di esplorare.
Però poi mi sono reso conto che comunque non posso scappare dal mio amore per il soul e per il R&B, oltre che per l’ambiente underground. È ciò che mi ritrovo a essere, nel mio modo di vestire, di pensare… Io “penso underground”.
Le sonorità di “Alchimia” ricordano forse quelle del mio primo album, ma con una consapevolezza e una maturità diverse. Da qui succederanno delle cose, per quanto riguarda il mio sound del futuro, riparto da qui. Si tratta di un punto di partenza e di un punto d’arrivo: non ho più bisogno di capire che cosa voglio fare e chi voglio essere, perché l’ho capito. Quindi da adesso non può che essere tutto in discesa.
Quest’EP, come dicevi, si può inserire nel “calderone” del soul/R&B, ma presenta anche degli spunti di altri generi, soprattutto nelle collaborazioni, che sono tante e interessanti: ci sono rapper, ci sono cantanti, ti colleghi a mondi “altri” rispetto alla tua comfort zone. Come mai hai scelto questi artisti per collaborare?
Io ho sempre avuto un buon rapporto con un certo tipo di rapper, perché venendo anch’io dall’hip hop, soprattutto a livello di ascolti, adoro i rapper, mi piace molto collaborare con loro.
Ho scelto Ensi, Torme [Tormento, ndr] e Cleme [Clementino, ndr] perché scelgo sempre di lavorare con persone con cui mi trovo bene umanamente, ancora prima che con la musica. Con loro ho sempre avuto uno scambio, prima di lavorare insieme. Ensi, Clementino e Sissi li ho conosciuti quest’anno, mentre Serena [Serena Brancale, ndr], Davide [Davide Shorty, ndr] e Tormento sono miei amici da sempre, da tantissimo. Ma le persone con cui collaboro sono anche tra gli artisti che mi piacciono di più, nel panorama. Mi piace che anche le collaborazioni siano genuine, non pensate in termini di convenienza.
A proposito di questo, come pensi che stia, il panorama? Sono anni di cambiamenti discografici e artisti, come diresti che sta la scena italiana in questo momento? Che cosa ne pensi?
Adesso è un buon periodo di ripartenza per tutti: c’è voglia di ascoltare musica nuova, di andare ai vedere i concerti. La gente ha voglia e bisogno di musica e questo è buonissimo, per noi, per suonare. E per quanto riguarda Spotify e il digitale c’è un lato positivo e diversi lati negativi. È più facile farsi conoscere da più gente, oltre al fatto che siamo influenzati da più artisti diversi: questo porta a fare una ricerca di suono molto più elevata e diversa. Oggi nella musica italiana c’è tantissima musica diversa, non solo indie e trap, come sembrava che stesse succedendo negli ultimi sei anni – un incubo.
Grazie a Dio c’è stata una contaminazione, che la cosa giusta. La musica deve nascere dalla contaminazione di generi e anche la musica italiana sta avendo un valore nel mondo, proprio. Le playlist statunitensi prendono brani italiani. Questa per noi è una buona occasione: cerchiamo di fare musica sempre più figa e di espandere il nostro pubblico oltre i confini nazionali.
Non c’è mai stata una ricerca di suoni e di contaminazioni, nella musica italiana.
Sono contentissimo che il soul/R&B abbia una strada “vera”, qua, perché fino a sei anni fa eravamo tipo in tre a fare questo genere in Italia. Oggi vedo che il pubblico conosce il soul, il neo-soul e il R&B, da Robert Glasper a Hiatus Kaiyote, nomi che prima erano sconosciuti.