– di Giacomo Daneluzzo –
È passato poco più di un anno dall’uscita di Guarda dove vai, l’esplosivo album d’esordio di Marta Tenaglia (di cui al tempo ho scritto una recensione), ma la cantautrice ci ha già regalato AFTER VERECONDIA, un disco molto intenso, con un carattere forte e per certi versi “scomodo”, in cui è tangibile la grande urgenza espressiva racchiusa nelle canzoni che lo compongono, già suggerita da questo breve tempo di gestazione. Proprio a proposito dell’urgenza, non è un caso se l’ouverture del disco è “Circe”, un brano potente che, in modo tristemente attualissimo, si scaglia a gran voce contro il patriarcato e che, nel farlo, riassume ciò che succede “dopo la verecondia”: la tempesta dopo la quiete, il movimento dopo la stasi.
AFTER VERECONDIA racconta questo: finito il tempo della verecondia, del timore, della riserva, arriva una reazione forte: rabbia, energia, carica. Il tutto ben rappresentato, musicalmente, da sonorità piene, produzioni sature, anche più che in “Guarda dove vai”, ma sempre con una forte tensione alla sperimentazione, cifra stilistica di tutto il lavoro della cantautrice, che non assomiglia a quello di nessun altro progetto artistico. Ci sono basi più movimentate di altre, ma tutte le dieci tracce sono accomunate da un approccio totalmente inaudito alla composizione, in cui niente è prevedibile, in un alternarsi di suoni elettronici e analogici, di tempi e generi eterogenei, per arrivare a un’identità sonora molto definita nel suo essere un insieme estremamente originale di diversi spunti sonori.
Se già Guarda dove vai” era un disco di “riappropriazione” dei propri spazi, questo processo è ora portato avanti in modo ancora più netto da AFTER VERECONDIA, in cui giunge a compimento: l’album è una cornice in cui Tenaglia dà voce a quei lati di sé rimasti in sordina in passato, senza più paura di prendersi lo spazio che le spetta: «Ricordami di smettere di farmi le paranoie sui traumi degli altri» (“Allodole”); «Spetta a me dirmi che devo splendere» (“Marmo”); «Mai più mi troverà il riflesso in cui mi vedo piccola» (“RMM”).
La forza di quest’album e della sua autrice, però, non è costituita solo dall’emergere di quest’impeto affermativo, ma anche dal coraggio di mettere a nudo i lati più fragili di sé, di far vedere anche i nervi più scoperti e dar voce a quegli aspetti del proprio vissuto più dolorosi, cosa che Tenaglia fa con una sincerità disarmante nelle tracce meno “combattive” di AFTER VERECONDIA: «Se non parlo è perché sto tremando, ricordami di me e di non amare a metà» (“Marmo”); «Io ho delle regole, di cui la prima è non pensare a te, la seconda è stronza, perché mi riporta verso boh, cos’è? Chiamiamolo amore, o droga del cuore, oppure ossessione» (“Peccato”); «Non voglio avere fretta di vivere, che poi è fretta di morire, passare all’ultima delle pagine, per vedere come va a finire» (“Anima infinita”).
Tenaglia è riuscita, in tempi sorprendentemente brevi, a realizzare un secondo album denso, estremamente personale e di grande impatto emotivo, dimostrandosi capace – cosa tutt’altro che scontata – di non ripetersi rispetto all’esordio; AFTER VERECONDIA si è rivelato un piccolo gioiello cantautorale, in grado di descrivere perfettamente tanto il periodo storico in cui è uscito quanto lo sfaccettato mondo interiore della cantautrice, raccontando una nuova fase di sé e del proprio percorso artistico. E Marta Tenaglia, artista “diversa” e indefinibile per eccellenza, per la seconda volta è riuscita a stupire e a dare prova del suo grande talento come autrice e compositrice.