– di Michela Moramarco –
Adduci è un cantautore napoletano che lo scorso 21 maggio ha pubblicato il suo primo album di inediti, dal titolo Se invece di sbattere gli occhi. Si tratta di nove tracce legate a un percorso creativo basato su prospettive di introspezione. I brani sono alquanto eterogenei, sia nei testi, che nelle sonorità. Da brani palesemente nostalgici come “Parte di me” e “Nessuna garanzia”, si passa ai più romantici “Mare di parole” e “Binario nove”. Complessivamente è un album che si lascia ascoltare, mentre crea un barlume di aspettativa che regge o no in base alla discrezione di chi lo ascolta. Se invece di sbattere gli occhi racconta una quotidianità fatta di nebbia e di pensieri che si schiudono come le porte della metropolitana, per poi correre via. I brani sono autonomi ma collegati da una sottile idea di fondo, ovvero quella di raccogliere i suddetti pensieri e renderli condivisibili. Ne abbiamo parlato con Adduci.
Se invece di sbattere gli occhi: si tratta di una frase che sembra voler continuare. Come mai questa scelta di lasciare il titolo quasi in sospeso?
Dunque, mi immagino che ci siano i due punti dopo, come a voler dire che quello che faccio ascoltare con l’album è la continuazione. Il senso è che ho provato a mantenere gli occhi aperti quanto più possibile per catturare tutti i dettagli di ciò che succedeva intorno a me.
I brani sono coerenti ma anche autonomi da un punto di vista compositivo. Mi spieghi perché si potrebbe parlare o meno di concept album?
Direi che non si può parlare di concept album. Lo stile delle canzoni è molto eterogeneo musicalmente. Un filo conduttore in qualche modo è rappresentato dal fatto che si tratti di prospettive di introspezione su di me e sugli effetti determinati dall’interazione con le persone che ho incontrato nel corso di questi anni.
Quanto la circostanza pandemica ha influito sulle scelte legate al processo creativo di questo album?
Meno di zero. Le canzoni erano nate tutte prima della pandemia e sono state sviluppate a cavallo della circostanza. Non c’è nulla di quello che è successo a questo proposito.
Questo è notevole, poiché molto spesso un artista che ha molto tempo a disposizione lo impiega per concedersi dei ripensamenti creativi, ma non è il tuo caso.
No, non è il mio caso. Ho cercato di utilizzare il tempo in più a disposizione per cercare una strategia promozionale, tecnica. Ma la parte creativa non è stata intaccata.
C’è un brano a cui sei legato maggiormente rispetto agli altri per un motivo qualsiasi?
Penso che questa domanda si paragonabile al chiedere a un genitore quale figlio preferisce. Però se volessi proprio risponderti, direi “Parte di me”, che non è l’ultima a essere stata scritta, ma l’ultima a essere stata sviluppata negli arrangiamenti. Rappresenta anche l’idea di quello che sta diventando questo mio progetto musicale. Mi dà un affaccio sul futuro e su quello che posso aspettare dalle mie prossime composizioni.
È un album autobiografico?
Direi di no. Cerco di fare molta attenzione a non stare piantato su di me, nella fase compositiva. Raccolgo tutti gli stimoli che sono correlati alla mia vita. La prospettiva è più ampia e quindi svincolata da me. Non sono è un album autobiografico poiché gli eventi narrati non sono specifici. Ho raccolto le idee che sono andate a combinarsi in modo casuale.
“Binario nove” è un brano nostalgico al punto giusto. Mi dici un po’ cosa vuoi raccontare?
Premettendo che procedo sempre “per istantanee”, ovvero concependo il brano in questione come se fosse una serie di fotografie da racchiudere in un racconto, nel caso specifico di “Binario nove” si tratta di una fotografia di una routine milanese in un contesto lavorativo. Ho cercato di esaminare la circostanza dello svolgere in modo quasi meccanico le mansioni quotidiane.
Cosa ti aspetti dai prossimi mesi, artisticamente parlando?
Non mi aspetto nulla. Mi applico affinché questo disco possa piacere e arrivare. Non ripongo molte aspettative, per non rimanere deluso. Per me la musica è un’esigenza, una questione di amore. Ma aspettative non ne ho.