Titolo assai forte ma decisamente didascalico per fotografare il rap urbano dalle tinte scure di Aban. Torna in scena l’MC leccese con un nuovo grandioso disco dal titolo “Rap inferno” con ben 15 tracce di quotidiana realtà, di sconfitta e di rivoluzione, di decadentismo e di consapevolezza… torna Aban dimostrando ancora di saper scegliere il suono potente e gutturale nella totale complicità della sua voce inconfondibile… dalle roots di periferia ai grandi palchi sputando fuoco, rabbia e veleno alle ipocrite messe in scena dal sistema main stream, alle lobby di potere economico, a chi muove i fili del mercato plastificato e omologante… e dentro tutti, arrivisti e finti musicisti… e non solo questo sia chiaro. Arroganza intelligente e intelligente disamina, accusa spigolosa e parole velenose dentro un disco dal fascino assoluto e dalla forza decisamente priva di compromessi. Diversi i video ufficiali rilasciati in rete. Che parta da qui la rivoluzione…
Encomio al disco, alle liriche e a come hanno trovato spazio. Prima domanda: un disco che denuncia il decadentismo del quotidiano o invita alla rinascita?
Sicuramente è la descrizione del sentimento che prova chi è guidato ancora dalle emozioni e dalle passioni e si ritrova a scontrarsi con le fredde leggi dell’economia. Tutto quello che mi ha dato entusiasmo dalla mia adolescenza fino ai miei quarant’anni man mano è andato ad affievolirsi, come la visuale quando sale la nebbia. Dove sono le jam e il pubblico che poga sotto il palco? Dove sono finiti gli incontri post concerto con gli artisti al bancone del locale? Dov’e finita l’aggregazione e la comunione, gli ideali che portava il rap fino a dieci anni fa. Potrei continuare all’infinito ma non servirebbe a farti capire l’inferno che porta dentro chi come me ha amato questa roba più di se stesso.
Mi colpisce il suono di Aban che da tempo sembra attestarsi su uno stesso filone. Molto dark, molto baritonale, molte distorsioni che richiamano un certo Teatro degli Orrori. Ovviamente ho scritto “sembra”… dicci la tua…
Effettivamente sono sempre stato attratto dall’oscurità e dall’atmosfera cupa che trasmettevano i dischi che mi hanno iniziato nel rap: Lou X, Colle Der Fomento, FCE ecc. Il mio modo di esser rispecchia molto le basi e non è facile trovare un Producer che riesca d immergersi totalmente nel tuo stato d’animo e nella tua interpretazione della musica. Ma per fortuna da dieci anni ho scoperto l’esistenza di Kiquè Velasquez, sicuramente già da tempo uno dei migliori Producer in Italia, probabilmente il numero uno.
Con “Rap Inferno” davvero non la mandi a dire alle tante ipocrite manifestazioni di successo plastificato a cui siamo abituati oggi. Ecco una parola che fa paura: abituati. Quanto è diventato normale tutto questo secondo te?
Quando l’arte prende valore senza il bisogno di avvalersi delle linee guida pre imposte dall’economia, diventando un’appetibile preda per le aziende multinazionali che bazzicano nella discografia, non si può più parlare di musica vera e propria, ma solo di un surrogato preparato in un laboratorio di chissà quale città. Non parliamo certo di qualcosa che ha a che fare con la musica immortale di quelli che veramente hanno a che fare con la parola “artisti”. I dischi di Hendrix, Doors, BB King, James Brown sono l’esempio per ricordarci quando ascoltare una canzone faceva venire i brividi e la pelle d’oca semplicemente raccontando vita quotidiana attraverso i sentimenti di ogni essere umano. Quella di oggi non è musica, è soltanto uno stupido e inutile intrattenimento dal punto di vista lirico e dal punto di vista tecnico la maggior parte acquista o prende ispirazione dai beat online sui vari portali addetti alla vendita.
E secondo te, vedi anche il ritorno del vinile (che secondo me è pura moda), tornerà la luce? Dove stiamo andando… e come ne usciremo?
Dal mio punto di vista avrei stampato solo vinili di “Rap Inferno”. Non è che me lo auguro soltanto, lo spero vivamente, per quanto possa essere scomodo l’ascolto, il valore che acquista ogni suono rende l’idea del perché. Dove stiamo andando e dove andremo a finire? Alla deriva, dove cazzo dobbiamo andare. Come in ogni ciclo che si rispetti la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge. Ogni ciclo è perpetuo se davvero è parte del meccanismo che fa girare il mondo. Quindi benvenuti a coloro come le mie nipoti o i ragazzini che vedo ammazzarsi, non più dietro una PlayStation ma dietro una console o dietro un mic e che saranno quella prima generazione che nel primo dopoguerra ricostruì questa terra in mezzo al nulla lasciato dai bombardamenti. È il minimo.
Un tempo le Posse, i centri sociale, il rap delle periferie… linguaggio che arrivava alla gente e la gente era capace di reagire. Oggi secondo te? Il tuo disco come quello di tanti altri, sono vittime indifese della mera estetica o riescono a incidere nelle attenzioni del pubblico addomesticato dalle televisioni?
Il problema non è non incidere, perché rispetto a questa porcheria che oggi chiamano musica anche il cenno più leggero di ribellione scatena il vento e alza le onde e chiunque abbia voglia di seminare il vento ha la sicurezza che germoglierà di nuovo tempesta per distruggere al fine di poter ricreare come gli ordini degli eventi decide.