– di Assunta Urbano –
Nicola Donà, in arte Nico LaOnda è un artista italiano, che vive nella Grande Mela, precisamente a Brooklyn. Dopo varie peripezie ed esperienze differenti tra loro nasce questo progetto, che porta alla nascita del disco Tutto Bene, pubblicato il 29 agosto scorso per La Valigetta. Dall’album sono già stati tratti alcuni singoli, Casco Ribelle e Fratello Gemma.
Un mix di sapori contrastanti si intrecciano in questo lavoro. Per averne una visione d’insieme più chiara e nitida ho fatto questa intervista intercontinentale direttamente a Nico LaOnda.
Del pezzo Sottobanco mi è rimasto impresso particolarmente il “ripartire da zero”, forse perché mi sembra ricongiungersi al tuo percorso. Ti sei trasferito a New York e mi piacerebbe chiederti cosa significa per te, da musicista, cambiare vita e trasferirsi altrove rispetto al luogo d’origine.
Sì, Sottobanco era la perfetta apertura del disco. Così come sfogliare un album di fotografie, i miei pezzi raccontano momenti di vita vissuta, i ricordi, saturati, distorti. Il paragrafo a cui fai riferimento, tra l’altro, è ambientato a Brooklyn, nel mio quartiere, una zona che ci sta mettendo un po’ di più ad essere completamente gentrificata (“qui non c’è pericolo che cresca grattacielo”).
Vivere negli Stati Uniti e cantare in italiano. Come mai questa scelta? Si tratta senza dubbio di un rischio. Come tutti sappiamo ci sono miliardi di differenze tra il panorama musicale italiano e quello d’oltreoceano. Quali sono le diversità che invece noti personalmente e che si intrecciano con il tuo percorso?
Questa è una domanda che ricevo spesso. Ora ti becchi la risposta-papiro. Il primo pezzo l’ho scritto sul divano di casa mia a notte fonda, arrivando a creare il ritornello con gli uccellini che cantavano fuori. E gli uccellini non cantano in una lingua specifica, quindi non c’era una lingua designata. Il testo mi è uscito in italiano. Per la prima volta in vita mia. Nel giro di due giorni avevo già sette tracce. In due settimane una ventina di canzoni. E non pensavo ad altro. Non riuscivo a fermarmi. Ci ho pensato anch’io a dire la verità, sai, i soliti dubbi di chi aspetta che il disco esca. Ora che è uscito, la lingua sembra essere uno dei punti di forza qui in America e non c’è giorno che non riceva un messaggio da amici che lo suonano nei bar o negozi o set dove lavorano. La mia manager (americana) mi dice spesso: “se Shintaro Sakamoto canta in giapponese, Helado Negro, Nico Jaar etc. in spagnolo e tu ascolti musica africana dalla mattina alla sera, non vedo perché tu non possa cantare nella tua lingua”. E poi diciamocelo, se cantassi in inglese, ai concerti, vorrei vedere chi capirebbe. Comunque non è escluso che possa scrivere qualche brano anche in inglese…
Potrei rispondere alla seconda parte della domanda ma direi che ci fermiamo qui!
Ci sono state varie band di cui hai fatto parte (tipo Juxtabrunch, The Caloriferi s Very Hot!, Dizzyride e varie altre). Cosa è cambiato rispetto al passato? Per quale motivo hai deciso di intraprendere questo progetto da solista?
In realtà tutti i progetti citati (anche Horrible Present), tranne Dizzyride, sono nati come progetti solisti. Ora che mi ci fai pensare ad ogni insediamento in una nuova città, corrisponde la nascita di un nuovo progetto. È una scelta geopolitica!
Il 29 Agosto è uscito il tuo disco d’esordio Tutto Bene. Quale significato hanno per te questi dieci brani? So che è come chiedere ad un padre quale sia il figlio preferito, ma c’è uno dei pezzi a cui sei più legato?
La scelta e la scrematura dei pezzi non è per niente casuale. Quando Tomás Cabezon (uno di quelli che mi ha aiutato agli inizi nonché produttore di alcuni brani) venne a casa mia avevo quaranta tracce. Piano piano siamo scesi a venti e da lì in poi con Luca Di Cataldo (coarrangiatore e coproduttore) abbiamo giocato a Sparta finché non ne abbiamo scelte dieci che descrivessero e raccontassero al meglio il progetto Nico LaOnda. Non c’è un pezzo che metta d’accordo tutti. Ho due band: una qui e una in Europa e ognuno ha le proprie canzoni preferite. Anch’io, devo dire, cambio come cambia il vento.
È evidente ascoltando questo lavoro che ci siano ispirazioni provenienti da ambienti variegati e mixati tra di loro. Quali sono le tue principali ispirazioni? Con chi ti piacerebbe collaborare nel futuro?
Ogni volta cito dischi e band diverse, le prime che mi vengono in mente. Ascolto troppa musica ed è sempre difficile catalogare, mi sembra di fare un torto a qualcuno. Così a caso: Prince, Napoli Segreta, Loredana Berté, Mamman Sani, Jeanette, Sade, Piero Umiliani, Chet Baker. Sto già collaborando con amici e gente che stimo. Rimanete sintonizzati! Se devo nominare qualcuno di inarrivabile direi Ennio Morricone, Giorgio Moroder. Tra gli artisti contemporanei (anche loro inarrivabili) che mi attirano di più per la loro ecletticità di sicuro Thundercat, Connan Mockassin, Ariel Pink, Frank Ocean, Drugdealer e Weyes Blood.
Mi sembra che la copertina racconti la tua storia. Che ruolo hanno quelle quattro immagini rappresentate?
Quasi tutte le mie grafiche, tranne qualcuna che fa appunto Luca Di Cataldo… Anzi, Luca, se leggi questa intervista – ride – mandami sto cazzo di banner! Insomma, quasi tutte le penso con Aron Filkey e la fotografia con Enrico Brunetti. Non svelo troppo perché sarà parte del nuovo merchandising. Comunque per realizzare questa cartolina-copertina che avevamo in mente, c’è stato un bel po’ di lavoro. Aron si trovava a Budapest (di dove è originario) e mentre parlavamo di come cercare le immagini scopre che la vicina colleziona cartoline da cinquanta anni. Boom! Tutte le fotografie in copertina provengono da cartoline diverse. Da Cortina a Marrakech. Ci piaceva poi includere sia immagini fredde che calde. In fondo è un disco alle quattro stagioni.