Mille. Forse meno, forse più, forse non numerabili. Metafore a parte non sono capace di capire e di contare quante sono le influenze e le ispirazioni dentro questo disco. Di sicuro ecco un’opera che richiede un’esperienza che non ho…anzi direi che nella maggior parte della comunicazione italiana fatta di “troppo giovani” non ci siano risorse umane piene di tanto mondo, tante culture e lingue diverse. Musicalmente parlando poi, la didattica si complica ulteriormente. Tony Cercola torna con un disco che riempie con 12 tracce che posso figurare come quando getto in una scatola mille puzzle diversi, mescolo per ore, e poi rovescio a vanvera sul tavolo. Da qui prendo 12 tasselli (a caso) e ne faccio un quadro. Con l’unica differenza è che Cercola non prende a caso, ma ha vita consumata, esperienza e tantissima arte dentro ad indicargli la via. Un disco che si intitola “Patatrac!” non ha confini dietro la voce e la collaborazione di tantissimi artisti italiani e stranieri, qualche volto noto e qualche nuova scoperta. Tra le 12 tracce anche 4 successi del passato e con il tutto si parla di pop, di “rock”, di etno music, world music, musica napoletana (ovviamente)…
Come un gas in espansione, che arriva fin dove ha spazio…
Vorrei iniziare condividendo con te un pensiero che ho sempre avuto. Il percussionista per me è un artista “tribale”, etnico, dunque contaminazione, dunque sperimentazione e creatività. Il batterista è più un didattico, dunque sessioni in studio o live, un musicista più che artista creativo. Sbaglio?
Si in linea di massima pare sia così ma poi a volte la vita da opportunità di tirare fuori la propria creatività ed questa che fa sempre la differenza.
Fatto salvo quanto detto prima, ha un importanza determinante l’essere percussionista per la creazione della tua musica?
Certo, è importante come punto di partenza, infatti io mi sento un percussautore, come mi definì il giornalista Sandro Petrone, cioè un percussionista con l’esigenza di creare musica.
“Patatrac!” perché porta con se anche 4 dei tuoi vecchi brani e non solo inediti?
Tutto il progetto Patatrac nasce proprio dal rifacimento di Babbasone, pubblicata nel 90. Stavo passeggiando per Napoli quando fui catturato da una musica che proveniva da un sottoscala, era proprio Babbasone, rifatto in stile raggamuffin. Mi fermai, scesi e conobbi questi ragazzi, i Malacrjanza, che mi spiegarono che loro erano cresciuti ascoltando una musicassetta, del padre dei due fratelli Spampinato, contenente il mio primo album ed erano rimasti colpiti da questa canzone, che tra l’altro all’epoca partecipò anche al Cantagiro e al Festivalbar. Così mi venne l’idea di affidare a giovani talentuosi alcuni brani del mio vecchio repertorio. Poi, io e Gino Magurno, produttore artistico e coautore di tutte le canzoni, abbiamo avuto l’esigenza di confrontarci con nuove idee, nuove sperimentazioni e così sono nati gli inediti.
Ma sbaglio oppure è la prima volta che ti spingi a produrre sperimentazioni digitali così estreme come “Song Inspiration”?
No, non ti sbagli. In verità la canzone, nella sua versione originale, era già estrema, poi il remix fatto dai Wireframe lo è diventato ancora di più. Ma lo scopo e il gusto di sperimentare è proprio questo, esplorare nuovi sentieri.
L’incontro con gli altri artisti e con altre culture…fa parte del tuo stato d’animo o hai sfruttato semplicemente il caso?
Ho sempre amato collaborare, nasco proprio in questo modo, al fianco di grandi artisti. In questo album le collaborazioni sono nate dall’imput iniziale datomi dalla rielaborazione di Babbasone dei Malacrjanza, come ti ho spiegato prima. Poi il resto è venuto da se, a volte abbiamo scritto, con Gino Magurno, la canzone e poi abbiamo pensato all’artista da coinvolgere, altre volte è stato un incontro che ha dato il via alla creatività
Chiudiamo con un classico: inventerai altre “lingue” oltre al lumumbese?
Il lumumbese nasce dalla ricerca di termini della lingua napoletana, attuale e della tradizione, termini che arricchiscono ritmicamente e sonoramente una melodia. È un linguaggio che permette di esprimere completamente il concetto, l’emozione che la musicaci comunica, per cui non credo di avere l’esigenza di inventare altre lingue.