Tornano di moda i One Man Show? Ce lo chiediamo oggi che suona il nuovissimo disco di Michael Fortunati, ovvero MIKELESS. Il “Senza Mike” suona e arrangia tutto da solo armato di chitarra, un disco di pop leggero italiano, molto intelligente e attento ai compromessi tra pubblico popolare e intenditore del settore. Ci piace la voce ma ancora di più la sua chitarra. Contributi digitali non mancano, tutti a portata di pedalini. Niente da dire e niente da eccepire. Sarà che forse oggi niente è più così sconvolgente.
Da solo. Maggiori possibilità o limiti più intransigenti?
Diciamo entrambe!.. Perché da un lato non hai le “spalle coperte” da altri musicisti e quindi se sbagli , e’ più difficile non far accorgere dell’errore il pubblico. Dall’altra improvvisare e’ una cosa liberissima, perché non hai difficoltà a farlo da solo…puoi scegliere una direzione senza interpellare nessun altro e quindi arrivi a capirti di più, a diventare più abile nel coprire gli eventuali errori. Insomma è un pareggio…
Chi ha capacità di questo livello in genere proviene dalla grande musica che ha fatto storia, spesso anche da grandi tecniche. Mikeless da dove proviene?
Quando ho ascoltato “tre chitarre” pezzo strumentale dal primo disco di Alex Britti, ho iniziato a desiderare di suonare seriamente la chitarra…ho iniziato ad ascoltare M.Hedges e A.Mckey e gente simile…a guardare video di artisti di strada che utilizzano loop station, come RicoLoop etc. Ma se ascolto bene il mio album , mi rendo conto che arriva quasi tutto dai primi dischi che ascoltavo a ripetizione nella mia cameretta quando avevo 12 anni: The Wall – Pink Floyd, Dangerous – M.Jackson, Manhattan Transfer, Blues Brothers, Jimi Hendrix. Successivamente sono cresciuto a pane e grunge!
In brani come “Regole” si sente la tua bella tecnica che scalcia per venir fuori. Come mai invece l’hai sacrificata per un disco così “apparentemente” semplice? In altre parole, si pensa che un virtuoso cerchi sempre qualcosa di pari livello più che la forma canzone classica…non sei d’accordo?
Si, in effetti e’ un po’ una verità .
Ho cercato di fare una cosa difficile e cioè produrre delle canzoni che facciano muovere la testa o fischiettare inconsciamente l’ascoltatore medio e nel contempo che strappino il consenso anche agli addetti ai lavori, alle orecchie più raffinate…però a posteriori ho pensato che mi sono trattenuto forse un po’ troppo e nel prossimo disco a cui ho già iniziato a lavorare, mi concederò un po’ più di libertà chitarristica!
La tua chitarra in questa scena discografica italiana: come pensi venga accolta? Che ambizioni nascondi dietro questo lavoro?
Credo che il disco sia originale , almeno come tipo di registrazione e contenga tanti generi diversi, dal funky allo swing e dal folk al rock…può essere un punto di forza nel richiamare ascoltatori diversi tra loro, ma anche uno svantaggio per la non appartenenza totale ad un genere…però lo stile e’ personale direi. Uno dei miei sogni e’ comunque quello di fare l’autore anche per altri, come mio nonno Umberto Lamberti.
E se ti chiedessi di darci un tuo punto di vista su ciò che vive e prolifica oggi?
Purtroppo in Italia il mercato si è trasformato in un catalogo televisivo in cui i grandi produttori hanno bisogno di artisti senza quasi personalità ,da poter plasmare sulle loro necessità , senza guardare mai le vere capacità di un singolo o di un gruppo , per esaltarne le qualità. Insomma è’ dura. Ma lavorare sul campo , trovare contatti , sudarti le date e attrarre l’attenzione anche solo di un fan alla volta…e’ molto soddisfacente , soprattutto quando inizi ad ingranare!
Angelo Rattenni