– di Anna Rescigno –
Giuse The Lizia, nome d’arte di Giuseppe Puleo, è un cantautore ventidueenne nato e cresciuto a Bagheria, in provincia di Palermo. Riscuote i primi successi nel 2021 con Maciste Dischi, etichetta discografica che ha fatto uscire anche il suo ultimo progetto, INTERNET: un disco che racconta tutta la fatica e la bellezza dei vent’anni, quando ancora si sta cercando la propria Direzione, il proprio posto nel mondo. In questo album, l’artista ha sperimentato molto anche a livello di sound, passando dal cantautorato al rap, al pop punk e al funky, dimostrando una grande crescita a livello musicale. Ce ne ha parlato dal vivo e questa intervista è il frutto di una chiacchierata molto stimolante.
È uscito da pochissimo il tuo nuovo disco, INTERNET. Massimo Pericolo in Casa nuova dice «Quanto è difficile scrivere il secondo disco, soprattutto se col primo diventi ricco». Quali difficoltà hai incontrato nella stesura di INTERNET, e ti sei sentito anche tu influenzato dalla fama che ha iniziato ad arrivare?
Non ho trovato particolari difficoltà nella stesura, non ho mai avuto particolari problemi a livello di scrivere e di avere un’idea delle canzoni che vengono fuori. Anche per quanto riguarda gli arrangiamenti e le melodie vado molto spedito e sono produttivo su questo fronte. Secondo me la difficoltà a cui si riferisce Massimo Pericolo è il fatto che col primo disco tu non hai nessun tipo di confronto con ciò che è successo prima. Se il primo disco è andato bene, quantomeno lo devi replicare o superare. Quindi, più che a livello produttivo, io sto sentendo un po’ di ansietta (che però riesco a gestire, anche per come lavoro e per le persone con cui lavoro) rispetto a quanto sia andato bene Crush e il tour che abbiamo fatto dopo Crush. Se faccio il paragone, e lo temo un po’, magari ci vado un po’ sotto. Ma basta non farlo e sapere che questo è un altro percorso che si svilupperà in un modo tutto suo. Per quanto riguarda la fama no, non mi ha cambiato perché, intanto, non è ancora a quei livelli da montarsi la testa particolarmente, e poi perché la mia vita mi permette di avere ben presente quali siano i punti di riferimento, e come rimanere molto sul pezzo e molto me stesso.
Parliamo di featuring. Nell’album ci sono solo due feat, uno con centomilacarie, che era giù uscito, e uno con Mecna. centomilacarie è ancora più giovane ed emergente di te, mentre Mecna è nella scena da più di vent’anni. Ti volevo chiedere, com’è stato condividere lo studio con questi due artisti e quanto le due esperienze sono state diverse tra di loro?
Sono state in primis diverse per una questione anagrafica: con Simo, centomilacarie, c’è un’amicizia che nasce prima della collaborazione artistica. Facciamo parte della stessa etichetta, quindi ci conosciamo e stimiamo umanamente. Fare il pezzo assieme è stato davvero come quando ti organizzi con un tuo amico per fare un’uscita o andare a una festa. Noi facciamo musica, abbiamo questa fortuna, quindi il nostro incontro è stato: “facciamo qualcosa assieme”. Ci abbiamo volato da morire entrambi, in studio c’era un’alchimia pazzesca, anche perché siamo molto simili in termini di performance e di cazzoneria. Per quanto riguarda Mecna, chiaramente è un po’ diverso. Non lo conoscevo, l’ho ascoltato e lo ascolto tutt’ora, quindi era anche un po’ quel rapporto col mostro sacro che è, che forse un po’ ti intimorisce. Però all’interno di quel brano, Tonight gospel, sentivamo e sentivo l’esigenza di un feat, e fra le persone che potevano rendere giustizia a quel pezzo c’era proprio Mecna, perché tra i rapper ha sempre avuto la sua penna, il suo stile, il suo modo anche un po’ malinconico, disilluso di raccontare certe storie, soprattutto di parlare d’amore, ed è molto simile per certi versi a quello che faccio io, al mio modo di scrivere, quindi ci è sembrato troppo giusto. Secondo me il risultato è molto bello, il livello di alchimia musicale tra di noi.
Invece per quanto riguarda la produzione c’è dietro okgiorgio, che ha prodotto e registrato gran parte delle tracce. Cosa senti che abbiano aggiunto alla tua musica, che già prima era molto riconoscibile e articolata, e pensi che questo sia l’inizio di un’arcata di collaborazioni, alla Scorsese x De Niro?
In realtà spero di sì. Mi piace l’idea di avere un produttore unico, che ti segue e cresce con te, mi affascina. Credo sia anche il segreto di tanti bei progetti, avere una persona che ti capisca e che ti segua nei tuoi svarioni musicali. Per quanto riguarda quello che aggiunge, è davvero difficile da spiegare. È una dinamica proprio di studio, che capisci quando sei lì con delle idee e hai davanti una persona che è stra in grado, con una velocità, tra l’altro, fotonica, di tradurre dei pensieri grezzi e sicuramente non musicalmente precisi in materia, in canzoni, in melodie e passaggi armonici. È veramente un artigiano della musica lui, e ha tutto quello che io non ho, a livello di conoscenze tecniche, di intuizione, anche rispetto a determinate scelte che fa e che svoltano le canzoni. Dopo questo elogio, spero che mi concederà almeno un altro disco.
Parliamo del contenuto del disco. Io ho la tua età e, ascoltando il disco, ho sentito che oltre a raccontare tanto della tua vita personale, è anche una diapositiva dei ventenni nel 2024.Tra radical chic e occhiali veloci, app di dating e situazioni romantiche occasionali, a te piace questa epoca? Ti piace avere ventidue anni oggi, oppure ti fa schifo?
Dovrei capire com’era avere ventidue anni ieri. A me piace in realtà, mi diverto e mi reputo anche una persona molto positiva, tento sempre di vedere il bello delle cose e non farmi buttare troppo giù. Ho una vita molto articolata e densa, e per questo molto piena di soddisfazioni. Certo, ci sono anche cose meno belle, fa un po’ parte del roller coaster della vita. Però ecco, se effettivamente mi ponessi il problema se è meglio avere vent’anni mo’ o è stato meglio negli anni Novanta o Duemila, senza internet tra l’altro, forse la risposta sarebbe diversa. Però ci è concesso vivere questa vita, e a me piace.
Ci sta questo ottimismo. Io ascolto tanta musica trap, e ascoltare il tuo disco dopo tanti mesi di trap è stata un po’ una boccata d’aria fresca. Tu spesso parli di situazioni in cui le ragazze ti hanno fatto rimanere male e non hai paura di mostrarti dispiaciuto e vulnerabile, e ne parli in maniera diversa. È un bel cambio di dinamica quello che proponi. Ad esempio, in Give me love dici: «Ed ho vent’anni e non vorrei sprecarli appresso ad una stronza che mi scopa solo quando ha voglia». Un trapper probabilmente direbbe “si fa scopare”. Ti fermi mai a chiederti come potrebbero essere accolte le tue parole anche dei tuoi ascoltatori più giovani, a livello di queste tematiche?
È interessante. Anche io sono un grande ascoltatore di trap, mi piace tantissimo e mi diverte soprattutto. Secondo me loro hanno anche un certo tipo di linguaggio ormai codificato. All’interno della dinamica della trap certe cose sono ormai consolidate, quindi non bisogna neanche stare troppo lì ad analizzare e a trovare un messaggio, che è evidentemente non condivisibile, essendo un approccio un po’ complicato a determinate tematiche, e scivoloso. Io personalmente credo che nessuno di loro abbia questa visione così macista e maschilista della donna; è un linguaggio loro. Per quanto riguarda me invece, i miei ascolti sono sempre stati ascolti in cui si soffre da entrambe le parti, in maniera molto paritaria. Quindi nel farlo non mi sono mai reso conto di quanto potesse avere un ruolo nell’ascoltatore. Però effettivamente, mi stanno facendo notare di recente che è bello pensare che tu possa avere un’alternativa. Non dico che si debba preferire uno all’altro, però un artista ti racconta un determinato tipo di rapporto unilaterale, e io te ne racconto un altro da un’altra prospettiva. Così hai una bella panoramica di tutto.
Sono d’accordo. A livello di sample, hai già detto che c’è un campionamento di Disperato erotico stomp di Dalla, nel brano Flash. Ci vuoi rivelare qualche altra ispirazione presente in qualche altra traccia?
Avevamo un altro sample. La canzone si chiama Estate di Bruno Martino; era un’altra idea che poi non è andata. Volevamo campionare, perché ci piace questo tipo di arte e secondo me aggiunge tanto alle canzoni. Poi alla fine abbiamo optato per Dalla.
Volevo farti due domande sulle ultime due canzoni, le mie preferite dell’album. x te che mi conosci bene è il pezzo in cui ti riunisci col produttore delle tue prime canzoni, Mr Monkey. Secondo me è il più interessante a livello di sound, anche forse quello in cui ti avvicini di più allo stile pop-punk che sta spopolando negli ultimi anni negli emergenti in Italia. Questo avvicinamento, sicuramente molto riuscito, a un genere diverso è esigenza personale o, e questa è un po’ una provocazione, volontà di conquistare una fetta più larga di pubblico?
Ci sta la domanda, non è provocatoria. Però in realtà io ho sempre avuto questa roba qui. Ce l’ho da Boy, don’t cry che è uscita nel 2021. Per i miei ascolti, per quello che ho come background musicale (The Strokes, Arctic Monkeys, The Libertines, Franz Ferdinand)…
È vero, a inizio carriera eri anche in una cover band dei The Strokes…
Esatto, io questa roba l’ho sempre avuta. Poi ultimamente, come dici tu, c’è una bella risposta rispetto a questo genere, quindi tanto meglio. Però, non per pararmi il culo, ma non direi che è una strategia.
Invece in Persi da un po’, bellissima, dici: «Mi hai visto così, cantavo alla Rai, ma in fondo lo sai, non è la mia stanza». Parla forse di due persone che si ritrovano ma non si riconoscono più. Riscava un po’ nel passato, come Direzione a inizio album, ma lo fa alla fine dell’album con un valore nostalgico che all’inizio ancora non c’è. È come un cerchio che si chiude. Questa è la mia interpretazione; devo ammettere però che la canzone è difficile da decifrare completamente. Quindi volevo chiederti, qual è l’emozione che volevi comunicare con questo pezzo?
In realtà è esattamente quella. Tu hai detto una cosa secondo me giusta, cioè che Direzione inizia un percorso che finisce con Persi da un po’. In Direzione c’è un po’ un excursus di quello che ho fatto fino a quel momento, tutte le tappe particolari della mia vita. E c’è un certo dire “sto cercando quella direzione, ho uno spirito avventuriero di scoprire cosa mi aspetta”. Invece Persi da un po’, con quel ritornello, è una presa di posizione. “Sto ancora cercando, ma mi sono accorto che tante cose mi mancano”. C’è una visione più nostalgica, ed è un po’ quello che ho notato su di me. La vita a Bologna, dove vivo, è piena di novità e di stimoli, di cose nuove, però a un certo punto senti davvero il confronto con te stesso e con quello che ti fa stare davvero bene. Per me quello che mi fa stare davvero sereno e bene è la mia famiglia, la mia città d’origine, i miei amici che sono rimasti lì, e ci devo fare i conti.