L’estate è alle porte, i primi caldi sono scoppiati, qualcuno ha già fatto un salto al mare…insomma le vacanze sono nell’aria.
E invece il disco che vi proponiamo ha un sapore quasi anacronistico: “Le nostre vacanze sono finite”, così si intitola l’esordio dei partenopei Riva (la cui release ufficiale risale in realtà all’autunno).
Pubblicato per Full Heads/Audiglobe sotto la supervisione artistica del cantautore degli Amor Fou Giuliano Dottori, questo disco è una ventata di freschezza e le undici canzoni che lo compongo non sono per niente anacronistiche, anzi suonano decisamente attuali e offrono uno spaccato interessante della società italiana contemporanea.
La titletrack è un perfetto manifesto musicale e concettuale dei Riva: introdotta da uno xilofono e sostenuta dal basso pulsante, è il racconto di una delusione sociale e di una vita intera. La voce laconica mette in mostra con un cinismo graffiante le vite vuote che cercano appagamento in uno sterile consumismo («abbiamo una casa di merda piena di roba»).
La condizione dei giovani è letta in una chiave piuttosto demoralizzante e senza prospettive; «più che padri siamo figli», cantano i Riva.
Il quadro perfetto degli eterni giovani (i «bamboccioni», come punzecchiò un noto politico qualche anno fa…): plurilaureati ma senza lavoro, conviventi ma senza famiglia, volenterosi ma senza futuro.
Per carità, non sempre è così e generalizzare non è mai corretto, ma non si può negare che quella dei Riva sia una fotografia tristemente vicina alla realtà del nostro Paese, un rappresentazione grottesca che non risparmia nessuno ma anzi spara a zero su tutti: dalle persone in fila per il nuovo cellulare (“Io&te”) alla bella vita dei parlamentari (“La pensione”); dai “lobotomizzati” vittime della tv e dei media (“Marzullo”) ai giovani presunti ribelli, che però concepiscono la rivoluzione solo nei loro letti (“Il palinsesto della Rai”).
Questo risultato è ormai sotto li occhi di tutti, è il prodotto di una società in cui la vita diventa palcoscenico, dove l’urgenza (anche e soprattutto musicale e artistica) non è più raccontare ma raccontarsi, non più mostrare ma farsi vedere. Una vera e propria vetrinizzazione sociale, in cui le nostre azioni e le nostre vite acquistano un senso solo in virtù delle visualizzazioni, dei like e delle condivisioni che producono o ricevono.
Sembra perciò che siano i mezzi di comunicazione sociale a leggittimare i nostri pensieri.
Queste enormi contraddizioni sono raccontate dai Riva attraverso il loro pop-rock indipendente, nel quale gli strumenti lasciano spesso e volentieri spazio alle programmazioni: «musicalmente l’intreccio tra strumenti melodici acustici e ritmiche di matrice elettronica è stato il ileitmotiv dell’intero lavoro», affermano.
Quasi fossero una sorta di punto d’incontro tra Le luci della centrale elettrica e Lo Stato sociale, i Riva uniscono le atmosfere acustiche dei primi e le sonorità elettroniche dei secondi allo spirito critico di entrambi.
Pezzi ballabili e vivaci si alternano infatti a ritmi più lenti e cadenzati, mentre dietro l’apparente leggerezza della canzoni si nascondono una visione profonda della vita e del mondo e una maturità nel saper cogliere gli aspetti più controversi della nostra società.
Giulio Valli