È vero, oggi nessuno inventa più nulla. Tutto è stato fatto, detto, scritto e cantato. Eppure, quando metto il disco d’esordio dei Musicphobia, The world is shaking anticlockwise, il piede sotto al tavolo incomincia a battere il ritmo. Sintesi di vari influssi musicali, coscienti o meno, senza esser però parodia di nessuno d’essi, il sound del gruppo si muove sul solco di un hard rock classico su cui si innestano particolari aperture armoniche, sempre interessanti, spaziando poi anche verso ballate acustiche e qualche apertura ritmica quasi prog.
I musicisti sono tutti di ottimo livello e specialmente il lavoro di Giuseppe Silvestri alle chitarre merita le lodi per la grande cura negli arrangiamenti e la versatilità sonora, senza nulla togliere agli altri musicisti, laddove Michelangelo Lubrano si cala nel modo corretto nei testi e tra le note senza mai strafare e la sessione ritmica di Marco Sebastianelli e Fabio Mociatti regge i brani con eleganza e buon gusto.
Venendo alle canzoni, l’opener, Undivided, sorretto da un bel groove dal gusto vagamente retrò, è uno splendido biglietto da visita, un rock molto compatto e d’impatto. E se un brano come Raven is living si adagia su un classic rock anni ‘90 stile Pearl Jam, invece un brano come Butterfly sorprende con le sue sfumature acustiche, dall’anima jazz, che richiamano, ma solo subliminalmente, il Jeff Buckley di Grace. Le capacità sonore e d’espressione sono molte: pur non sperimentando nulla ogni brano riesce ad avere una sua personalità, senza adagiarsi in cliché; certo, Stones in the air strizza l’occhio ai Muse, in uno o due punti, ma senza che ciò adombri il brano nell’eclissi del banale.
La title track è, probabilmente, il brano più rappresentativo dell’idea musicale dei Musicphobia, come una sorta di paradigma delle intenzioni del gruppo e sintesi musicale delle aspirazioni della band: una ballata dal forte sapore rock, dove c’è spazio per ognuno dei musicisti di mettersi in luce, con gli splendidi assoli di basso e chitarra e il ritornello cantabilissimo.
Forse stona leggermente col resto il pop acustico di Love in your eyes, che mostra la grande versatilità allo strumento del chitarrista Silvestri, assolutamente non il solito rockettaro piatto e banale, ma che si stacca troppo dall’omogeneità sonora del resto del disco.
Le altre canzoni seguono questa falsariga sonora, tra il continuo slittamento tra sonorità morbide e vampate elettriche, tra accordi sospesi e riff sincopati.
In definita, un bell’album per i Musicphobia, che non hanno nessuna pretesa di cambiare la musica d’oggi e sfornano un disco piacevole e vario, registrato e prodotto assai bene tra l’altro, che rifugge fieramente il rischio d’annoiare.
È vero, nessuno inventa più nulla, ma l’impressione che rimane finito l’ascolto dell’album è quella di musicisti che sanno quel che vogliono fare e capaci di farlo nella maniera più concreta. Si attendono conferme.
Menzione d’onore: Butterfly, il brano che non t’aspetti.
Riccardo De Stefano
ExitWell Magazine n° 0 (gennaio/febbraio 2013)
gran lavoro, canzoni intense che trasudano emozioni forti. Bravo micky e bravi tutti, continuate così! keep the faith