“Le mandibole sono un accessorio meccanico, che ci collega al resto del mondo animale, al bisogno di mordere, nutrirsi, lacerare, vomitare, urlare. Le mandibole sono un tramite.”
È così che Cristina Nico presenta il suo primo album sul suo sito web personale, e già da questa piccola ma significativa descrizione si può capire quanto la musica che riempie i solchi di questo disco sia introspettiva, oscura, primordiale e poeticamente “diversa” da ciò che si ascolta mediamente in Italia.
Cantautrice genovese, fin dalla giovanissima età ha prestato la sua arte a molte band underground della sua città: questo l’ha formata, e tutt’oggi, in un ambito sicuramente più “cantautoriale”, si sente eccome. Stiamo parlando di un’artista che non si ferma solo alla musica, al canto e alla composizione, ma che ama anche l’arte visiva, il collage, l’assemblage e la pittura (non a caso il suo precedente EP Daimones si componeva di sei tracce illustrate dalla stessa autrice).
Sappiamo da dichiarazioni della stessa Cristina Nico che inizialmente l’album doveva essere un concept sul modo di vedere il mondo di un “moderno commesso viaggiatore” durante le sue pause-pranzo. Tema sicuramente originale, che, nonostante l’idea del concept sia poi tramontata, è rimasto a colorare le arie dell’intera opera. La opener “Le Creature degli Abissi” (per la quale è stato anche girato un videoclip) ci accoglie con atmosfera soffusa, e, con la voce accompagnata da pianoforte, organo e violino, mette subito in chiaro gli intenti della cantante: “Forse non scriverò il capolavoro del secolo”. È una frase forte, cantata con con altrettanta forza, ma anche un pizzico di rassegnazione, e suona più o meno come gli inni alle muse che aprivano i poemi degli antichi greci. Il disco ondeggia tra atmosfere molto diverse tra loro, a tratti folk, a tratti rock nella maniera più cruda, altre volte delicato o ancora popolare. Ma i veri protagonisti delle canzoni sono l’animo umano, il suo eterno volteggiare, le sue sfaccettature, e la nostra società: si parla del consumismo nevrotico che ci affligge (in “Mandibole”), della fragilità che le persone vedono nella propria figura riflessa in uno specchio (“Creature degli abissi”) o anche della superficialità, virtù ricercata o male da estirpare (“Giorno dopo Giorno”). La scrittura è quasi sempre metaforica, ma portata avanti con classe e gusto.
Insomma, questo “Mandibole” si pone musicalmente e letterariamente nel filone del rock d’autore italiano, che vede nelle sue fila grandi band come Baustelle, Afterhours, Marlene Kuntz e chi più ne ha più ne metta, senza mai rinunciare ad una certa vena creativa originale e ben assortita. Auguriamo a Cristina Nico la stessa fortuna e la longevità dei sopraccitati colleghi, perché questo album è veramente un ottimo biglietto da visita, ben pensato e prodotto.
Francesco Pepe