– di Roberta Matticola –
Siamo sinceri: mettere in sesto le idee a fine concerto non è facile (a prescindere dal giudizio). E lo è ancora meno quando il protagonista è uno dei tuoi artisti preferiti. A fine concerto ti assalgono un’infinità di emozioni forti in cui si fondono euforia ad estasi e felicità… Insomma, un cocktail di sentimenti dato da un rilascio estremo di endorfine che sfocia in un benessere sensoriale completo e totale.
È un po’ questo lo stato con il quale mi appresto a scrivere questo articolo sul concerto di Fulminacci che si è esibito martedì 3 settembre nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone” per il Roma Summer Festival. Una serata alquanto atipica per essere ancora estate, a causa di una dirompente pioggia che si è abbattuta fino a mezz’ora prima dell’evento sulla Capitale: un meteo completamente coerente, per assonanza, con l’artista protagonista della serata. Con la mia sobria t-shirt comprata nel tour del 2022 su cui campeggia la timida scritta “odio gli artisti”, mi sono recata al mio posto dal quale ho assistito al rapido affollarsi dei posti riempiti dalle più disparate generazioni comprendenti la cosiddetta “Gen Z”, sino ad arrivare ai genitori con i loro figli: è proprio vero che la musica unisce tutti e quella di Filippo Uttinacci ne è l’esempio più eclatante.
Tra il fresco e l’umidità si spengono le luci e dal pubblico proviene un solo urlo di incitamento: «Filippo! Filippo! Filippo!». Ero già stata al concerto di aprile al Palazzetto dello Sport quindi sapevo già cosa mi avrebbe aspettato ma, in un contesto del genere, è davvero difficile non sentirsi emozionati soprattutto quando una voce registrata ci dà il benvenuto al concerto in cui «respirare l’atmosfera quando è notte e sembra sera». Ed è così che su un palco illuminato da lampi di luci bianche sale Fulminacci che inizia a cantare Borghese in borghese per poi scivolare subito su Miss Mondo Africa e la grintosissima Spacca: alle spalle della band quattro colonne di schermi sui quali si proiettano disegni, scritte ed immagini che creano la scenografia perfetta per i brani; a campeggiare la band c’è un fulmine, logo del cantante.
La prima ora di concerto si divide precisamente in due momenti: la prima mezz’ora è movimentata, ritmica, illuminata e splendente, l’altra metà nasconde un lato più intimo e profondo in cui dominano delle luci più soffuse e notturne quindi blu, che cullano la melodia di un pianoforte sui cui tasti Fulminacci alterna le note di brani come Le Biciclette, Simile e Una Sera. Arriva il primo momento inaspettato ovvero il primo featuring della serata nonché del suo ultimo disco Infinito +1, quello con Giovanni Truppi con il quale canta il loro brano Occhi Grigi: nella sua veste dal vivo, riesce a toccare molto di più l’emotività. Seguono poi canzoni come Così cosà, Aglio e olio, la dolce +1 dedicata alla sua fidanzata Lia, La vita veramente o Meglio di così; e proprio per rendere più speciale il momento arriva sul palco un altro inatteso ospite ovvero Marco Castello. Con il giovane cantautore di Siracusa, Filippo ha inciso il brano Magari e lo regalano al pubblico di Roma (i più fortunati sono stati solo qualche settimana fa gli spettatori del Locus Festival di Alberobello) che non riesce a contenere lo stupore.
Fulminacci sul palco è inarrestabile: non prende un momento di pausa tra un brano e l’altro i cui arrangiamenti, studiati ad hoc per i live – merita una nota in particolare la conclusione de La Vita Veramente con una brillante citazione di Figli delle stelle di Alan Sorrenti –, sono accompagnati da simpatiche coreografie minimal che rendono il concerto ancora più simpatico e frizzante. A rendere tutto questo possibile, anche la talentuosissima band composta da Roberto Sanguigni (basso), Claudio Bruno (chitarra), Riccardo Roia (tastiere), Lorenzo Lupi (batteria), Riccardo Nebbiosi (sassofono) e Giuseppe Panico (tromba), che lo accompagna in queste date.
Tra i momenti più intensi di tutto il concerto c’è sicuramente La Siepe conclusasi con un delicatissimo ed emozionante assolo di tromba, o Santa Marinella «il brano con cui non ho vinto Sanremo!», che chiude il concerto con un lungo e corale «la, larallalalà» ovvero le sillabe della fine del brano. Merita però anche una citazione anche il medley con Un fatto tuo personale, Canguro e Resistenza sfociato poi in un’energica Le ruote, i motori! dove i salti degli spettatori sono stati cullati da stroboscopiche e coloratissime luci.
Su brani come Filippo Leroy, Spacca o Ragù trova sempre di più conferma la mia idea che Infinito +1 è un disco che nasce con l’idea di diventare “un dialogo” dal vivo, un continuo botta e risposta tra artista e pubblico dove il primo afferma cose ribattute poi dai suoi spettatori. Filippo è ancora anagraficamente piccolo ma non teme confronti, sia a livello artistico che performativo: la timidezza dei primi tour sta svanendo sempre di più soprattutto grazie al costante confronto con i grandi palchi. Questo di Fulminacci infatti, si può definire quasi un tour delle prime volte in cui ha riempito il suo primo palazzetto (a Roma ad aprile), in cui si esibirà per la prima volta al Carroponte di Milano ed in cui ha registrato un altro sold out in questa importantissima venue quale la Cavea dell’Auditorium di Roma, la sua città. Quella che lo ispira quotidianamente e lo culla con i suoi disagi e le sue bellezze.
Scendendo le scale della tribuna sento di avere un sorriso scolpito sul volto e mi sento soddisfatta. Mi sento anche un po’ deficiente ma «la, larallalalà, larallalalà, larallalaaaa».