Quanto è facile dire che in Italia la musica è in crisi e non c’è niente di nuovo? Quanto è facile dire che la musica in Italia fa schifo? La musica italiana ha una sua impronta e una sua anima, checché se ne dica. Il rock alternativo italiano, con altre parole, ha una sua matrice essenziale che ci distingue da tanti altri. E gli Zephiro hanno fatto propria tale matrice: sarebbe frustrante e imitativo dire però che “suonano come…” e anzi, sarebbe fuorviante; è vero, talvolta ricordano i primi Subsonica, tal’altre volte qualche accenno a Giuliano Sangiorgi viene alla mente. Ma sono sensazioni subliminali che ci sviano dalla vera realtà delle cose: gli Zephiro hanno una loro lingua. E non sto parlando dei due brani in giapponese, o meglio, non solo. La lingua degli Zephiro parla rock, un rock italiano molto vitale e dinamico, cantabile e melodico, graffiante e, in denifitiva, maturo. L’EP ha una grandissima coerenza sonora: il sound, densissimo, è spinto da un basso pulsante e un tappeto ritmico di batteria essenziale, ma efficace; sopra tutto, si erge una chitarra che più che reggere il brano ne sottolinea i vari umori e si presenta come una seconda voce, un controcanto elettrico. Un frangersi continuo di suoni e riff che a cascata ci sommergono in un moto a spirale lungo tutta la durata dell’EP, un equilibrio tra i suoni che sembrano nati per incastrarsi, a dimostrazione di un lavoro di una professionalità impressionante, in un fluire di melodie quasi ipnotico, essenza vitale dei brani del disco.
La particolarità dell’EP è già nel titolo: la scelta di proporre due brani in giapponese è sicuramente azzardata in un mercato italiano che a fatica digerisce brani di autori nostrani anche solo nella lingua d’Albione. L’esperimento però riesce, giacché la contaminazione avviene solo nell’ambito lirico e i brani mantengono la cifra stilistica del gruppo; anzi, tanto più che la title track è presentata nella duplice versione in italiano (La colpa) e giapponese (Kawaita me).
È difficile dire quale sia l’highlight dell’EP, poiché ogni canzone ha un suo spessore e nasconde sempre, qua e là, qualche gemma, sia essa un’inaspettata apertura melodica come in Come sempre (e non scordiamo la splendida coda del brano!), il robotico finale di Certi giorni o l’epilettico intermezzo strumentale de La colpa/Kawaita me.
Lodevole e assolutamente non secondaria è l’agilità con cui si riesce ad allacciare un groove così compatto con “una melodia insolita”, parafrasando un brano dell’EP; melodie vocali che per l’appunto riescono a catturare facilmente l’orecchio senza esser banali. Non è roba da poco. Una verve frenetica, dei brani potenti e un EP godibilissimo: gli Zephiro sembrano pronti per il grande salto di pubblico e non mi stupirei di vedere il loro nome a fianco di tanti nomi più blasonati ma, ahimé, molto meno interessanti.
Menzione d’onore: Come sempre, per i vari umori che ha, ma ogni brano merita.
Riccardo De Stefano
ExitWell Magazine n° 0 (gennaio/febbraio 2013)