Arrivati al quarto album di studio, gli Elettronoir arrivano anche all’episodio conclusivo della trilogia “Tutta colpa vostra!”, presentandoci contemporaneamente un passo in avanti nella definizione del loro stile nonché un compendio della loro esperienza fino ad oggi.
Forti di una passato che li ha visti vincitori dell’Heineken Jammin Festival Contest e collaboratori di grandi personalità della musica italiana (Rachele Bastreghi, Beatrice Antolini) non stupisce che questo nuovo album si presenti con una scaletta di 18 pezzi perfettamente confezionati, che si muovono agilmente tra aspirazioni pop e ricercatezza sperimentale.
L’atmosfera è quella della migliore sofisticatezza elettronica made in Italy, con quel gusto particolare per il retrò che è da sempre il marchio di fabbrica del gruppo, che si arricchisce sempre di più nutrendosi di contaminazioni con il passato recente della musica nostrana (le evidenti reminiscenze baustelliane che serpeggiano in tutte le tracce ne sono una prova, come anche l’eco dei Subsonica nell’ottima “Il brigatista”).
Il punto forte di questo nuovo lavoro è l’ottima scrittura dei testi, capace di creare un’empatia subitanea con la tonalità emotiva di ciascuno dei pezzi. I momenti più alti in questo senso sono sicuramente rappresentati dalla bellissima “Lo straniero” e dall’accattivante “Rio”, nelle quali la scrittura cristallina sembra aver trovato il registro perfetto per veicolare la sensibilità della band e le scelte melodiche sono tra le migliori ascoltate nel genere negli ultimi anni.
Certo, qualche pecca c’è. La presenza di un certo concettualismo (“Saturazione” e “Esultiamo con Pertini!”) e un pianoforte un po’ troppo invadente spesso aggiungono un velo barocco che sembra soffocare la vera anima dell’album e fanno perdere immediatezza all’ascolto.
L’impressione complessiva a ogni modo è che gli Elettronoir ci abbiano regalato una piccola perla fatta di ballate metropolitane e umori cosmopoliti che si traducono in un’esperienza più che piacevole, ma che lascia a fine ascolto con la voglia di sentire approfondito lo spirito noir e decadente del gruppo, spesso non completamente assecondato a favore di scelte più nazional popolari.
Nicolò Turchetti