– di Roberta Matticola –
Vi abbiamo già parlato di Vinnie Marakas in occasione dell’uscita del suo nuovo disco Preferirei di no, un’analisi ironica della società contemporanea, pubblicato lo scorso 24 maggio per Dischi Sotterranei.
Nonostante il periodo di ferie, noi di ExitWell abbiamo avuto una piacevole telefonata con il cantante che, al momento della nostra telefonata, stava combattendo con una perdita d’acqua a casa. Ciononostante, la sua disponibilità ci ha permesso di fare una lunga conversazione sulle sue canzoni e sui dietro le quinte delle sue parole, facendoci scorgere un mondo che non è così pessimista come si può pensare: il segreto sta tutto nei punti di vista!
Vorrei partire con una domanda sul tuo ultimo singolo Acqua Frizzante del quale hai pubblicato di recente il videoclip. Ascoltandola ho percepito quest’acqua frizzante un po’ come un’anestetizzante, un oppiaceo della società, descritta già nella prima frase del brano con la frase «crolla l’occidente / è proprio un bel tramonto»: è come se quest’acqua frizzante annullasse tutta la visione che c’è della società contemporanea in declino. All’interno del videoclip ci sei tu analizzato come una cavia da due alieni che ti hanno rapito. Ci puoi parlare della connessione che c’è tra la canzone ed il videoclip e, in generale, del brano?
Diciamo che la canzone più che di un anestetico, di un sedativo, in questo caso è una sorta di invito a riconoscere una sorta di crollo e non in maniera per forza tragica. Diciamo che quest’acqua frizzante sicuramente è una sorta di sostanza magica per la sua effervescenza e leggerezza: è un po’ una provocazione, chiaramente! Si tratta di abbracciare l’apocalisse e farsi portare dalla corrente senza farsi troppe domande. Rispetto al video, che è stato realizzato e pensato insieme a Tommaso Ferrara diciamo che, un po’ come tutti i videoclip che abbiamo realizzato finora, è sempre un po’ un gioco a costruire un universo immaginario. In questo caso era un po’ come portare l’acqua frizzante, proprio perché sostanza magica, in un mondo alieno… Che poi in realtà è il nostro, in qualche modo in quanto siamo alieni di noi stessi! Quindi si porta quest’acqua, questo liquido, in questo mondo e lo si manda fuori di testa. Questa era un po’ l’idea però, al tempo stesso, come dicevi anche tu, è un mondo da cui si è rapiti e in realtà tutto il videoclip è una fuga da questo mondo alieno: è una fuga e al contempo, una danza con la catastrofe.
Infatti la fuga è rappresentata nella scena in cui ho colto la citazione a “Paura e delirio a Las Vegas” con Johnny Depp infatti ci sei tu che fuggi su una macchina decapottabile!
Si! Diciamo che da appassionati di cinema (Vinnie Marakas e Tommaso Ferrara, nda), cerchiamo sempre di mettere qualche citazione o easter egg, che fa parte anche dell’immaginario al quale noi attingiamo: è una fuga che attraversa vari mondi, che poi sono sempre questo mondo, e si rivela immaginaria come nel momento del sottomarino che si svela essere un sottomarino tra le case quindi quasi statico.
A proposito di sostanza magica, anche in un altro brano che si intitola Ciliegie, sempre del tuo ultimo disco, è come se, ancora una volta, le ciliegie fossero qualcosa di magico (per citarti) poiché dici che le «ciliegie / mi portan via da qua» e «mi prendono se cado»: è un qualcosa che ti sorregge ma, nello stesso tempo, ti allevia dalle fatiche la vita. Quindi cosa sono alla fine le “ciliegie”? Anche loro una sostanza magica come “l’acqua frizzante”?
Questo non posso rivelarlo!
Ok! Allora passiamo ad un’altra domanda sul disco in generale, del quale mi è piaciuto molto l’approccio che hai utilizzato nel descrivere la realtà a tal punto che, sul comunicato stampa, è descritto come «una meditazione ironica sulla contemporaneità che trae ispirazione dall’esistenzialismo e dal pessimismo filosofico e letterario». Quindi ti domando: che cosa ha ispirato la stesura delle canzoni di questo disco? Qual è stato il fattore stimolante?
Hmm… diciamo che ogni brano ha un po’ una storia a sé. Si cerca sempre a posteriori di capire cosa si è scritto, cosa si è fatto, si cerca un comune denominatore, un fil rouge concettuale che possa dare un senso a quello che si è fatto che, mentre lo si fa, si è guidati da un qualcosa che è più di pancia, del momento e non ragionato. Le ispirazioni sono tante dal punto di vista, come ti dicevo, cinematografico, ma può essere un libro, una situazione… In quel caso lì, quando si parla di pessimismo, è forse più un pessimismo letterario: il titolo del l’album che è Preferirei di no prende ispirazione da parte di “Bartleby lo scrivano” di Melville, ma non solo! In realtà anche da un altro libro che si chiama “Bartleby e compagnia” che è di uno scrittore spagnolo che si chiama Enrique Villa-Matas, una sorta di diario, di appunti dove vengono raccontate le biografie di questi scrittori della noche che hanno rinunciato a scrivere o non hanno mai scritto: è un po’ un’esaltazione della negazione, così come nel romanzo di Bartleby. Una negazione appunto, come ti dicevo prima di acqua frizzante, non nel senso tragico o di un pessimismo passivo ma, come anche nella traccia che si chiama Pessimismo si dice appunto «pessimismo antidoto», un modo anche di cancellare le proprie aspettative o speranze sul futuro, sul mondo che viviamo. Azzerarle per ricostruirci poi sopra altro, qualcosa di nuovo, può essere una chiave anche un antidoto per quello che ci tormenta.
Mi piace questa riflessione perché ascoltandola, ho sempre percepito della negatività così come anche in Nervi saldi che, in qualche modo, “dialoga” con Pessimismo: c’è una frase in cui canti «avessi i nervi saldi / pensi resterei a bruciarmi per ore». Anche qua comunque ho colto una sfumatura negativa come per dire “mi crolla tutto però provo, in qualche modo, a rimanere stabile”…
Più che negativa, direi che è una vena un po’ malinconica, ecco. Quel tono un po’ a fondere la vena ironica con uno sfondo maliconico… Non direi negativo: non credo tanto nel “positivo” e “negativo” se non come poli elettrici, energetici, ma è sempre una questione di punti di vista! L’idea è sempre quella di rovesciare il negativo, cercare di trovare nel negativo una chiave anche attraverso la via dell’immaginazione, del sogno, della fuga onirica: abbracciare il negativo, ecco, dirgli che gli vogliamo bene in qualche modo.
Un’altra domanda sulla tua figura di cantante. Sei avanguardista perché giochi molto con la tua identità, al di là dei costumi che puoi utilizzare all’interno di un videoclip o anche sul palco, giochi molto con te stesso, ed anche la tua musica, come dicevo prima, non si può inserire in un particolare genere musicale perché è pop, elettronica, vi si fondono arte, ironia, citazioni cinematografiche: c’è di tutto nella tua essenza musicale. Ti definisci profeta, sciamano, alchimista e impostore ma io ti chiedo anche Vinnie Marakas si sente più un musicista, un artista (considerato come colui che lavora nell’arte) o un performer che può racchiudere un po’ il tutto?
Un trapezista!
Ahahaha cerchi il tuo equilibrio in diversi campi!
Si, intanto si cade ma cerchiamo sempre, saltando un po’ di qua e un po’ di là… Magari può far divertire qualcuno!
Ho notato un’altra cosa ascoltando i tuoi brani: c’è un continuo riferimento al cibo. Al di là delle ciliegie, dell’acqua (se proprio vogliamo considerarla), c’è anche Supermarket quindi il supermercato, il sugo… C’è un motivo particolare che ti lega al cibo? È un riferimento che ho voluto trovare forzatamente io o c’è un motivo?
No! Il cibo, che sia l’acqua, quello che beviamo, quello che mangiamo, difatti è quello che ci mantiene in vita. Chiaramente, a partire da quello che di base è il cibo, l’acqua, gli elementi di base, di sopravvivenza di un essere vivente, chiaramente oggi viviamo in un mondo dove questo concetto è trasfigurato. Cioè non è più solo il cibo ma è prodotto, è marchio, è pubblicità. Quindi in qualche modo anche il cibo è una sorta di allegoria di qualcosa che ingeriamo e assimiliamo per sopravvivere, no?! Che non è più solo “mangiare” ma acquistare, è tutto una sovrastruttura, in cui il cibo diventa un po’ allegoria di noi stessi.
Che è un po’ anche quello che descrivi in Supermarket, l’altro tuo brano che citavo dove utilizzi la metafora del supermercato per – suppongo – descrivere la nostra società in cui tutto è a portata di mano e in cui ci sono anche dei bisogni indotti dei quali non credevamo di poterne fare a meno invece, con questa costante reperibilità, abbiamo anche delle nuove necessità…
Si, è un po’ l’illusione di poter comprare anche la felicità. Poi magari scambiandola per altro, come dico in quella canzone «coca cola e campari», anche lì è un po’ un gioco di parole. Poi, alla fine, a furia di comprare, il prodotto sei tu in qualche modo: siamo poi anche disposti a venderci come tali, per poter arrivare, per poter in qualche modo definire la propria identità, attraverso una compravendita.
Invece nella copertina del disco sei una specie di Pierrot contemporaneo che si percepisce fare un “no” con la testa, un’associazione anche con il titolo dello stesso che è Preferirei di no ma, sul tuo volto, si scorge anche un sorriso, quasi un riso amaro.
Si, lo scatto è di Lorenzo Bertalli, che è un fotografo mio amico che ha realizzato tutte le copertine, sia dei singoli che dell’ep precedente. Come ti dicevo, è sempre un po’ un lavoro a posteriori cioè capire cosa si è fatto e perché lo si è fatto per cui in realtà, come prima cosa, c’era questa idea, come hai giustamente riconosciuto tu, di un Pierrot come figura che sintetizza quello che ti dicevo prima ovvero una fusione tra uno sguardo ironico ed un animo malinconico. Abbiamo realizzato una serie di scatti tra l’atro costruendo anche un set molto rudimentale-fai da te nel bagno di casa mia che adesso sarà tutt’acqua, ricordiamolo (rido, nda), e a un certo punto in realtà, c’eravamo orientati su un altro scatto che avevamo realizzato nella vasca da bagno con questo Pierrot che si struccava e poi, alla fine, è comparsa questa tra quelle che stavamo guardando: ci siamo resi conto che, effettivamente, sembrava che ci fosse un no con la testa! In realtà sono stati fatti una serie di esperimenti con una macchinetta analogica per vedere cosa veniva fuori e ci siamo resi conto dopo che ricordava un no con un sorriso cioè, appunto, “ti dico di no” ma, come dicevo prima, bisogna sorridere al “no”.
Ti faccio qualche altra domanda poi ti lascio alla tua perdita d’acqua… Purtroppo! Di recente hai fatto un concerto a Parigi quindi più che chiederti quali sono i tuoi piani per l’estate, perché siamo a metà agosto, ti chiedo quali sono i piani per l’autunno: se hai in programma altri concerti o nuovi brani sui quali stai già lavorando!
Diciamo che è sempre tutto in progress: a partire da settembre – ottobre abbiamo una serie di altre date che verranno annunciate entro fine mese. Sto lavorando a dei brani nuovi e, come sempre, c’è da capire che forma dargli dal punto di vista delle uscite, però mi piacerebbe riuscire a condividere qualcosa di nuovo entro la fine dell’anno. Adesso la priorità è comunque provare a suonare in giro il più possibile. Come hai giustamente detto, siamo riusciti a fare questa data internazionale a Parigi al Montmartre Festival: sarebbe bello riuscire a renderlo un’abitudine, quella di suonare all’estero perché poi comunque si creano sempre degli incontri fervidi!
Immagino! Poi soprattutto una realtà come Parigi penso sia molto fervida a livello di avanguardia musicale!
Si! Poi diciamo che molte delle ispirazioni alle quali ho attinto per il disco, che ho prodotto insieme a Richard Floyd, provengono del mondo francofono: entrambi abbiamo molti riferimenti francesi. Quindi si, è stata una bella occasione e speriamo di ripeterla!
Un’ultima domanda: sempre Nel Sugo, canti «questa è la mia entropia / canto con la cicala»: ma cos’è per te l’entropia? In che disordine tendi a ritrovarti? … dato che sei un trapezista!
L’entropia per me è quel disordine – ordinato ovvero ciò che regola l’universo, una sorta di crollo, cambiamento: il disordine fa parte dell’ordine delle cose. Ognuno poi ha la sua, ha il suo ritmo del disordine che può essere più o meno visibile, può essere esteriore, può essere interiore ma, in qualche grado, coinvolge tutti noi ed è un po’ il flusso, la corrente alla quale abbandonarsi. Il «canto con la cicala» è una mia provocazione, nel senso se tutto intorno ci crolla a livello di riferimenti, a livello di modelli, a livello di noi stessi, anziché magari prenderla in maniera tragica, cantiamo con la cicala, di più non possiamo fare! Poi dipende dalle situazioni…
Beh come dicevi anche prima, è tutta una questione di punti di vista: delle volte, basta anche rigirare una situazione per trovare delle soluzioni diverse!
Esatto!