– di Filippo Carpaneto
e Giacomo Daneluzzo –
soap, nome d’arte di Sophie Ottone, classe 2005, nasce a Roma e cresce a Latina. Dopo aver esordito in modo completamente indipendente inizia una collaborazione discografica con Pulp Entertainment e nel 2023 pubblica i singoli domani forse, macchina argento, via del corso e cuori in pista. nel 2024 è la volta di cercavi di più, singolo uscito per Pulp Entertainment e Sugar Music, cui ha fatto seguito la sua ultima release, parole violente, di cui è uscito anche un videoclip. soap è uno dei nomi più interessanti nella nuova generazione di artisti: il suo talento l’ha portata lontano da casa per lavorare nella musica, attività che sta svolgendo con risultati brillanti, tra cui la partecipazione al MI AMI Festival lo scorso 24 maggio.
Abbiamo intervistato la giovane cantautrice a Milano per sapere di più sul suo ultimo singolo e sul suo percorso artistico.
parole violente è uscito ormai da un po’: com’è andata quest’uscita?
Bene! Ogni volta che esce un singolo è come far nascere un figlio. Soprattutto con un pezzo come parole violente, che è molto importante sia per quanto riguarda la scrittura sia per quanto io mi ci rivedo. È stato bello poterlo finalmente far ascoltare agli altri.
In questo brano emerge un sentimento che è un miscuglio di amore e perdita, ma le sonorità sono molto ritmate, più che “da ballad”, come forse ci si aspetterebbe da un testo introspettivo come questo. Parlaci di questa scelta.
Sì, diciamo che non è “la solita cosa depressa”. Non è un tema nuovo nei miei pezzi, ma volevo trattarlo in modo diverso, più profondo. Volevo un pezzo meno legato all’indie e al pop. Volevo che fosse più urban, meno simile ad altri brani. Insomma, volevo un sound diverso.
A proposito di sound, la tua musica ha uno stile molto originale e ben definito: quali sono i tuoi riferimenti?
Mi fa piacere che mi dica questo. Nella mia testa è meno preciso di quello che potrebbe risultare all’esterno. Quello che faccio è quello che sento, se mi chiedono che genere faccio non so cosa rispondere. Ci sono influenze di varie cose: non voglio ridurmi all’indie, al pop, all’urban. Crescendo e ascoltando nuove canzoni poi mi viene voglia di fare altre cose. Prendo ispirazione da tante cose diverse.
Durante il ritornello di parole violente emerge una sorta di scontro con la realtà, in cui però la parte dell’illusione viene quasi romanticizzata, non è vista in modo negativo. Hai voglia di parlarcene?
Sì, mi ci rivedo. Sono una persona che prende consapevolezza delle situazioni e penso che questo, quando avviene, sia un dolore necessario. Allo stesso tempo, però, non è detto che non mi vada bene vivere questa realtà illusoria, non è detto che sia negativa. È un po’ la situazione in cui ti senti di fare una cosa, anche se magari non è la cosa migliore, e la fai.
Sei molto giovane, ma la tua scrittura è molto consapevole e ci sono delle realtà discografiche che se ne sono accorte e hanno scommesso su di te. Come sta cambiando la tua vita in questa fase, ora che ti si è presentata una prospettiva professionale? Come sta andando?
Quando mi rendo conto delle opportunità che mi sono state date penso che debba esserci qualcosa di diverso in me rispetto a quello che fanno molti miei coetanei che fanno musica. Naturalmente non è solo meritocrazia, che spesso non c’è: ci sono sicuramente altri più forti di me che non hanno avuto le mie stesse opportunità. Io vengo da Latina, Pulp è una realtà siciliana e Sugar è a Milano: non c’entravo niente, però la vita mi ha dato quest’opportunità.
È iniziata a cambiare quando a maggio dell’anno scorso mi ha contattato Eugenia [Borgonovo, nda], A&R di Sugar. Io ero a scuola e ho pensato: «Oddio, la Sugar!». Però quando si è iniziato a parlare di trasferirsi ho capito che la mia vita sarebbe davvero cambiata. Adesso vivo a Catania da sola. Facevo il quarto anno di superiori a Latina, vivendo con mia madre, e in un’estate sono passata a un’altra scuola, facendo il quinto anno vivendo da sola in una città lontanissima da casa. È cambiato tutto, un sacco. La cosa che è cambiata di più, però, è che adesso devo cucinare [ride, nda].
Parlando del connubio tra la tua vita e le tue canzoni, come funziona il tuo processo creativo? È sempre uguale o cambia da canzone a canzone?
Il mio processo creativo cambia molto a seconda di quello che sento di aver bisogno di esprimere. Quando ho iniziato a scrivere le mie canzoni ero felice, con domani forse; però stavo pensando a com’ero stata un anno e mezzo prima e quelle cose non ero mai riuscita a esprimerle e sentivo che mi stavano inseguendo. Sono una persona che purtroppo tende a reprimere i propri problemi, quindi a un certo punto ho bisogno di farli uscire. È variabile, ma solitamente è un processo molto spontaneo: difficilmente mi metto lì a scrivere finché non mi viene qualcosa. Un pezzo che ha avuto un po’ quella genesi, però, è via del corso: la prima frase l’ho scritta sulle mie note del telefono mentre stavo fumando a Latina; due mesi dopo in studio avevo bisogno di uno spunto e sono ripartita da quella frase, poi mi sono agganciata a quel discorso per scrivere il resto del testo. La cosa particolare è che è stata scritta prevalentemente in studio.
E per parole violente com’è stata la genesi?
Anche parole violente è nata in studio, però in questo caso con Sayf, rapper, produttore e autore molto forte: entrambi stavamo “cucinando” per gli affari nostri, ognuno per conto proprio, e poi ci siamo confrontati su quello che avevamo scritto. Siamo entrati sul beat con la stessa visione, quindi le cose si sono fuse in modo naturale.
È stato un processo molto intenso: io non scrivevo da un po’, perché avevo tantissimi impegni, con la scuola e tutto, quindi non riuscivo a trovare un momento in cui distendermi abbastanza per scrivere una canzone; più ci provavo più non ci riuscivo. In quel momento ce l’ho fatta ed è stata una liberazione.
Vorrei farti una domanda sul francese, che è un po’ una tua cifra, e sulla tua vita influenzata da due culture, due mondi, e su come questo si è ripercosso sulla tua vita artistica.
Io sono nata a Roma, ma mia madre è franco-algerina e mi ha cresciuta in francese, anche se sa benissimo l’italiano. Ha voluto che, pur crescendo in un paese non francofono, io e le mie sorelle avessimo questa lingua e mantenessimo un contatto con la nostra lingua d’origine.
Però fuori casa, ovviamente, parlavamo italiano, e c’è una sensibilità diversa tra queste due lingue. E, visto che cerco di mettere nella mia musica il più possibile di me, quando ho cercato di dire certe cose mi è venuto spontaneo farlo in francese: in italiano non mi suonavano bene quanto in francese, non tanto per una questione di suono quanto per una questione di “intimità”.
Mi è sembrato in effetti che ci fosse una differenza di “tono” nelle parti in francese.
In francese dico delle cose che in italiano non direi. So che la maggior parte delle persone che mi ascolta non sa il francese, quindi è come se “nascondessi” nelle parti in francese le cose più crude o anche dei concetti che in francese suonano più belli.
In francese dico esattamente quello che mi pare. Per scrivere in italiano, invece, devo pensare molto di più, anche solo per il fatto che scrivendo in italiano cerco di rendere il più possibile comprensibili i concetti che voglio esprimere; in francese, invece, non mi preoccupo proprio di questo, perché do per scontato che quella parte non sarà compresa dalla maggior parte delle persone che la sentirà.
Un’altra particolarità delle parti in francese è che c’è un tu lirico a cui ti rivolgi. È una questione di metrica e musicalità o ha a che fare con il significato che ha per te questa lingua?
Non mi sono mai messa a pensarci attentamente fino ad adesso. Penso che si possa spiegare con il fatto che il francese per me è la “lingua di casa”, che uso anche per rivolgermi a me stessa, mentre l’italiano è invece la lingua che uso per parlare agli altri e magari raccontare delle storie.
Il francese è anche la lingua che uso per parlare con le mie sorelle, una gemella e una più grande di diciassette mesi, per fare gossip tra sorelle e per parlare di me. Per questo nelle parti in francese mi viene spontaneo rivolgermi a un tu lirico, che potrei essere anche io stessa: è come se mi aprissi con qualcuno.
Mi avete fatto capire una cosa nuova! [Ride, nda]
Un’ultima domanda: quanto dei tuoi testi nasce effettivamente dalla tua vita e dalla tua esperienza e quanto invece viene dall’immaginazione?
Non penso di aver mai fatto un pezzo in cui non mi rivedevo. Non ho mai parlato di cose che non ho vissuto, anche se naturalmente ci sono molte cose che ho vissuto di cui non ho parlato. Purtroppo o per fortuna ho tanto da dire: se finisse l’ispirazione vorrebbe dire che sono felice. La qualità viene sempre prima della quantità, quindi se sono bloccata nello scrivere mi basta aspettare di elaborare qualcosa del mio passato.