Si intitola “Chronicles of Ephemeral” quello che Francesco D’Agnolo ha scelto per codificare il suono e le intenzioni di ricami pregiati in piano solo. Un disco evocativo certamente, dentro cui ognuno avrà modo di fare il suo personalissimo viaggio. Quello di D’Agnolo è fatto di celebrazione dell’effimero che all’effimero abbiamo relegato una posizione secondaria. Eppure l’uomo si distingue dalla macchina proprio dal sentire… una ricchezza che non ha pari. Un sentire che significa tornare uomini. Il piano solo che diviene narratore e spettatore…
Un esordio oggi dentro un disco che ha solo la dimensione del pianoforte. Davvero una sfida alle mode e alle abitudini. Come ti poni in tal senso?
Intanto mi piacciono le sfide, perché mi danno emozioni forti. Inoltre non seguo le mode in nessun ambito. Fortunatamente anche se la massa è influenzata dalle mode (o dai Trends, parola molto più utilizzata oggi), c’è tanta gente che, senza alcuna velleità di voler essere controtendenza, semplicemente è attratta anche da altro. Gente che ha forse le idee un po’ più chiare su ciò che incontra i propri gusti, e non sente la necessità di uniformarsi. Ed io mi trovo tra questi.
Un disco che parla all’uomo e non alla sua forma. Corretto?
Se fossi costretto ad utilizzare 11 parole, forse lo direi così. Se me ne concedi qualcuna in più aggiungerei solamente che in questo parlare all’essere umano, non c’è alcuna pretesa di essere compreso in un unico senso, ma semplicemente di cogliere l’invito a compiere il proprio viaggio interiore nelle emozioni e nei ricordi, senza timore, perché c’è la musica che ci sostiene e ci riporterà comunque nel qui ed ora, prima che essa stessa finisca con l’ultima nota.
Perché alla “Bellezza fragile” o a “Birth” restituisce tanta malinconia? Eppure sono momenti di grande luce…
La bellezza, come tutto ciò che è dell’essere umano, è effimera. Man mano che questa decade però, lascia spazio all’esperienza e a una consapevolezza di cui si dovrebbe essere orgogliosi. Quindi, mentre ci si guarda allo specchio, si può essere fieri di ciò che si è, ma credo che la malinconia sia inevitabile.
Nella nascita invece, “Birth” appunto, c’è un distacco irreversibile, quello tra madre e figlio/a, è la prima separazione che sperimenta un essere umano. Ho cercato di cogliere questo senso, pur conservando delle note di tenerezza e curiosità che una nuova creatura che viene al mondo, suscita e possiede, portando comunque con se l’eco di chi l’ha generata. Credo che ripensando a quel momento ed ai momenti appena precedenti, un genitore possa accarezzare un po’ di malinconia, seppur pieno di gioia.
Che poi la bellezza è un punto chiave di tutta l’opera o sbaglio?
Non sbagli affatto. Il disco parla di vita, di emozioni e anche di morte. Ma cosa c’è di più bello della capacità di sapersi e potersi emozionare durante la permanenza in questo piano esistenziale? (Il labirinto che si “ascolta” in Labyrinth) Inoltre, qual è il modo che abbiamo per fermare queste emozioni e far si che non siano anch’esse effimere?
L’arte… e non riesco a non associarle la parola Bellezza
Mi piace molto questa copertina. All’istinto sembra molto orientale. E in fondo c’è l’evanescenza della forma e il bisogno di rintracciare un significato…
La copertina è molto “autobiografica” (d’altronde c’è la mia faccia), e contiene elementi del disco, nascosti qui e là, che vi invito a scovare. Il suo significato è un legame quasi esoterico con la musica, rappresentata dal mio strumento principale, il pianoforte, che è anche ciò che mi sostiene mentre faccio le mie esperienze e scopro me stesso. Il disco non vuole parlare di me, ma offrire un’occasione di guardarsi dentro sostenuti dalla musica. Io sono sulla copertina, e tanto basta.