– testo e foto di Francesco Bommartini –
La maturità esplosa. Questa potrebbe essere un’efficace descrizione, molto breve e povera di sfumature, a riguardo dell’ultimo disco di Paolo Benvegnú È inutile parlare d’amore. Anticipato dell’altrettanto ottimo Ep Solo fiori.
Il cantautore lo ha presentato anche a Soliera, nell’accogliente Arci Kalinka Dude, venerdì 23 febbraio. La data fa parte di un tour particolarmente intenso. Prima dell’evento, in un messaggio scambiato via WhatsApp con lo stesso Paolo, conosciuto una decina d’anni fa per l’intervista inserita nel mio libro “Riserva Indipendente”, lui si schermiva – come suo solito – indicando i suoi “compagni” come veri fautori della bellezza degli ultimi lavori.
Chiaramente non è così, non lo può essere anche ascoltando gli album precedenti, già pieni di contenuti rilevanti e raffinati, nonché di costruzioni compositive tutt’altro che scontate (non per niente pure la mitica Mina ha reinterpretato un brano di Benvegnù, Io e te nel suo disco Caramella). Ma va detto che effettivamente la band – tendenzialmente molto giovane – funziona eccome.
IL CONCERTO
La prima parte del concerto è stata totalmente dedicata all’ultimo lavoro. Tecnica e simbolica ha messo subito le cose in chiaro e fatto capire che il bilanciamento dei suoni al Kalinka Dude era ottimo.
Benvegnù è a due passi, il palco è grande il giusto, i giochi di luce discreti, senza eccedenze. Diciamolo: a Paolo del digitale interessa poco, dell’apparire anche – se non per le sue giacche che ne gonfiano la fisicità rendendolo ancora più imponente rispetto a quanto già fanno le sue canzoni – e tutto ciò si riversa nella profondità musicale e testuale.
“Da sempre fuori di me esistono foreste che puoi accarezzare”, “diventate incoscienti come onde del mare, e noi saremo come il vento, impossibili da decifrare” sono solo due immagini sottolineate, con una capacità letteraria non comune, nella prima parte del concerto. La prima frase è tratta da L’oceano, proposto live come secondo pezzo. Ma ci sono proprio tutte le canzoni contenute nell’ultimo album.
Un segno, se vogliamo, anche di grande rispetto per “il qui ed ora”, per l’esistere a tutti i costi, attraversando dolori prodromici alla crescita. Tante volte ho sentito Paolo sofferente nelle mie interviste, ma venerdì all’Arci Dude l’ho invece percepito portatore di una luce che solo la sensibilità di un certo tipo, solo l’attraversamento di certi punti critici può far sorgere. Con la notte caduta giù dalle autostrade e lì lasciata, almeno questa volta.
IL SECONDO SET
La seconda parte dello spettacolo è stato invece dedicata al resto della discografia, con perle tratte da Hermann – incluse anche nel recente Delle inutili premonizioni (vol.1) – come Andromeda Maria e Avanzate ascoltate; la ritmata Io e il mio amore da Dissolution (primo brano che ascoltai di Paolo grazie alla mitica compilation Il paese è reale, effettivamente rivelatoria all’epoca per parte dell’audience che oggi segue tanti artisti “indipendenti”); La schiena da Le Labbra e la splendida doppietta Il mare verticale e Cerchi nell’acqua da Piccoli Fragilissimi Film. In particolare su quest’ultima è salito sul palco un amico di Paolo, che ad onor del vero, pur con tutta la passione possibile, non ha potuto rivaleggiare con il cantautore.
LA BAND
Se non altro, per chi ancora avesse avuto dubbi, questo momento è stato utile per comprendere fino in fondo quanto Benvegnù abbia anche una bella voce, ferma e debitamente perentoria, ancorché dolce e raffinata. Questo senza tacerne la buona capacità strumentale, sublimata da una band giovane e affiatata, composta da Luca Baldini al basso elettrico, dagli ottimi fratelli Berioli a batteria e chitarra elettrica, da Saverio Zacchei al trombone e da Tazio Aprile al piano. In chiusura, a sorpresa e non contenuta nella scaletta prevista, dopo un accenno di Rosemary Plexiglas degli Scisma, un altro estratto dal suo primo album del 2004: È solo un sogno. La cui fresa “Perché tutto splende, ma noi non lo vediamo, perché siamo velocissimi” è purtroppo perfetta per questi tempi, caotici e superficiali, profondamente imbecilli. Chissà se Paolo ci può aiutare a capire fino in fondo questo concetto cruciale per il nostro presente e il nostro futuro. Chissà.
IN APERTURA
In apertura a questa meraviglia sonora un ottimo cantautore, tale Gabriele Zambelli. Accompagnato solo dalla chitarra il lungocrinito artista è stato in grado di catalizzare l’attenzione di buona parte dei presenti (un centinaio di paganti). Peccato solo per il vociare in fondo alla sala, deprecabile. Sconosciuto al sottoscritto, Zambelli ha messo in gioco la propria vena artista con caparbietà e capacità di controllo, mostrando una personalità spiccata. La testa coperta da un cappello in stile cowboy, ha proposto suoi brani, arpeggiando la chitarra acustica con sapienza ed esponendo ritmiche accattivanti. Bene anche i testi, con un’interpretazione vocale che sottolinea una vena ironica spiccata, anche se con una presenza latente di approccio combat, quasi a voler scrollarsi di dosso una condizione di vita inadeguata a certi sogni. Un tipo di concettualità che, in questo, si sposa con quella di Paolo Benvegnù. Insomma, azzeccato.