– di Giacomo Daneluzzo –
L’Officina della Camomilla è tante cose. È il gruppo che il cantautore Francesco De Leo ha creato a Milano nel 2008, che ha precorso il boom del sedicente “indie” facendo musica in un modo tutto suo, estremamente originale, che ha indubbiamente influenzato moltissimo il panorama alternativo italiano degli anni Dieci. È una band “simbolo” di quegli anni, che non è mai stata un fenomeno mainstream perché ha sempre tenuto alla propria coerenza e indipendenza artistica, facendosi portabandiera del mondo indipendente. È anche un universo di citazioni a film d’essai, opere letterarie, canzoni e quant’altro, che una scrittura allo stesso tempo visionaria e consapevole – quella di Francesco De Leo – raccoglie per dar loro nuova linfa vitale, creando mondi surreali in cui rifugiarsi.
Il gruppo ha all’attivo diversi album: tra il 2013 e il 2016 sono usciti per Garrincha Dischi la trilogia di Senontipiacefalostesso e Palazzina Liberty, dischi che si muovono tra il cantautorato pop sognante che caratterizza il gruppo e un’attitudine alla sperimentazione; nel 2017 il gruppo ha messo in pausa la propria attività live e discografica e Francesco De Leo ha intrapreso una carriera solista, pubblicando La Malanoche per Bomba Dischi nel 2018, album con forti influenze psichedeliche a cui è seguito nel 2021 Swarovski, uscito per l’etichetta Hachiko Dischi, creata appositamente dallo stesso Francesco De Leo.
L’Officina ha ripreso la propria attività di band nel 2023, pubblicando il singolo Dandy Candy e riproponendo live le canzoni più importanti del gruppo, in quello che è stato un ritorno molto atteso dai fan della vecchia guardia e quelli delle nuove generazioni. Il nuovo album s’intitola Dreamcore, è uscito il 19 gennaio 2024 ed è un disco maturo e raffinato, che strizza l’occhio al dream pop e alla Beat Generation. Ho intervistato Francesco De Leo insieme a Stefano Poletti, chitarrista e videomaker, membro della formazione originale del gruppo: abbiamo parlato dello spazio-tempo, dei Baustelle e della Francia. Ecco che cosa mi hanno raccontato!
Partirei facendovi una domanda sulla formazione originale dell’Officina. Fra è l’unico membro costante di tutte le formazioni.
Stefano Poletti | Sì, perché lui è sempre stato l’autore dei testi e del mood musicale del progetto.
Francesco De Leo | L’Offi nasce nel 2008 come progetto strumentale di un adolescente qualsiasi, in una camera da letto. Non c’erano parole.
SP | L’Officina della Camomilla era il progetto strumentale di Francesco De Leo, che aveva diciassette anni. Ed è nato nella sua cameretta.
Tu sei nato a Chiavari: vivevi già a Milano?
Sì, sì, a casa di mia madre.
E questi pezzi strumentali quanto erano simili alle canzoni dell’Officina?
SP | Nell’Antologia della cameretta ce ne sono alcune. Sono dei capolavori assoluti.
FDL | Erano concepite come colonne sonore. Hai presente Yann Tiersen?
Certo, è l’autore della colonna sonora de Il meraviglioso mondo di Amélie!
FDL | Sì, esatto. Poi io ho anche vissuto in Francia…
SP | [Fa partire La primavera è un mostro nella versione dell’Antologia della cameretta, nda] Questa è già cantata?
FDL | Sì. Aspetta, metti questa: Sofà labirinto.
SP | [Fa partire Sofà labirinto, nda] Questa è un capolavoro. L’abbiamo suonata dal vivo nel 2008.
FDL | Era il nostro primo live ed eravamo in tre: noi due e un’altra ragazza, Matilde Calza. Abbiamo suonato alla festa di laurea.
SP | Sì, era la laurea di un mio amico.
Ma questa Matilde non è la voce femminile che c’è nei pezzi dell’Antologia, giusto?
FDL | No, quella è una mia ex ragazza. La mia prima ragazza, di quando avevo diciott’anni. [Ascolta Sofà labirinto, nda] Mamma mia, che depressione!
SP | Io avevo sentito la musica di Francesco su MySpace e gli avevo detto: «Ma è bellissima, perché non ci canti sopra?». Avevo anche sentito la sua voce, che era particolare e bellissima. Se uno ascolta Sofà labirinto si fa un’idea delle prime cose dell’Officina.
FDL | Sì, le prime cose erano così. Musichette, con i campanellini, lo xilofono… Ci piacevano tantissimo i Sigur Rós, che erano usciti da pochi anni con Hoppípolla. E i primi live erano solo strumentali. Stefano poi mi ha detto: «Ma perché non canti sulle tue canzoni, non fai qualcosa di meno sperimentale?». E io mi sono messo.
SP | E ha scritto Charlotte, che è la primissima canzone.
FDL | Sì e da lì ho iniziato a scrivere un po’ di cose, a fondere i due mondi: strumentali e testi. Perché comunque io scrivevo, anche; però erano due cose separate. Quando ho iniziato a metterle insieme sono nate queste cose embrionali, un po’ storte.
E negli anni successivi il processo creativo per musiche e testi è rimasto separato o hai iniziato a scrivere entrambi insieme? Come scrivi adesso?
No, poi è diventato più un tutt’uno, direi. Musica e testo insieme. Per Dreamcore ho studiato anche un po’ di più: prima ero più che altro cinefilo, nella scrittura di questo disco mi sono appassionato molto alla letteratura e diverse opere letterarie hanno influenzato Dreamcore, tipo Raving di McKenzie Wark e la Beat Generation: Jack Kerouac e soprattutto William Burroughs, che è il mio preferito. Ha fatto un libro stra figo che s’intitola I ragazzi selvaggi, che è un po’ più di nicchia rispetto a Il pasto nudo, il più famoso.
A proposito de Il pasto nudo è stato Kerouac a dargli il titolo: Burroughs era completamente fuso e sbandato nel mondo, Kerouac ha messo insieme un malloppo di carte che aveva scritto e ci ha ricavato il libro. [Rivolto a Stefano, che sta ascoltando i brani dell’Antologia, nda] Basta con questa musica, dai.
A me l’Antologia della cameretta piace.
È il mio hard disk del Mac, il mio archivio, messo su Spotify dal buon Matteo Romagnoli, che in questo modo l’ha salvato: io l’avrei sicuramente perso. In questo modo è stato salvato tutto ciò che abbiamo fatto nel pre-Officina “ufficiale”, cioè il mondo delle demo. Perché noi siamo nati come gruppo lo-fi e DIY. Abbiamo fatto tanti live senza neanche un’etichetta.
Volevo proprio arrivare a quest’argomento, al vostro spirito DIY. Avevo in mente di partire proprio da una traccia dell’Antologia della cameretta, cioè Te lo fai da solo. In questa canzone te la prendevi con vari nomi del mondo indipendente.
FDL | Grande! Lì eravamo messi male. [Ride, nda] Ma poverini, perché ho fatto questa cosa, ragazzi? Che imbarazzo.
SP | [Fa partire Te lo fai da solo, nda] Io questa non l’ho mai sentita.
A parte tutto secondo me è super interessante, perché rappresenta uno spirito dell’Officina che, in qualche modo, è rimasto nel tempo. È come dire: «Noi siamo veramente indie». E che cosa più di Dreamcore è un disco di cui puoi dire che «te lo fai da solo», visto che peraltro è uscito per l’etichetta di Francesco?
Sì, sicuramente è un pezzo abbastanza riot. Comunque per quanto riguarda Dreamcore hai ragione: abbiamo sicuramente uno spirito “punk”, con la nostra Hachiko Dischi. Il DIY ha sempre fatto parte di noi, in ogni aspetto di quello che facciamo. Noi ci ispiriamo ai Beat Happening: anche loro si sono fatti la loro etichetta, la K Records. O Mac DeMarco con la Mac’s Record Label. Ci piace farci le cose da soli. Mai mainstream.
E qual è il valore aggiunto di tutto questo?
FDL | Bella domanda. Direi he così possiamo proporre qualcosa che non sta nei canoni, se vogliamo. Siamo noi che decidiamo.
SP | Non è per fare i fighi: è l’unico modo di esprimerci davvero nostro.
FDL | La cosa assurda è che abbiamo anche un seguito.
In certi gruppi i vari membri scrivono insieme, ma in questa band sei tu, Francesco, la mente, l’autore di tutti i brani. Ma hai avuto anche una carriera solista: che cosa segna la distinzione tra Francesco De Leo da solista e Francesco De Leo nell’Officina della Camomilla?
L’Officina ha sempre rappresentato la mia parte “giovane”, mentre il progetto di Francesco De Leo era situato nell’età adulta, anche se sempre nell’arco dei vent’anni.. L’Officina invece è adolescenziale e preadolescenziale. Anche per questo riportarla adesso in studio e sui palchi per me è come prendere la macchina del tempo e dire: «Eccoci, siamo di nuovo qua». È davvero incredibile.
Quindi è come «mettere replay alla tua gioventù»?
Bravo! [Francesco applaude, nda] Rimbaud Party, pezzo dedicato alle popstar.
A proposito, «Dico fuck alle popstar» riprende un po’ quella vena polemica di Te lo fai da solo, no?
Un po’ sì: è quello spirito un po’ underground, il nostro animo alternativo. Direi “indie”, ma in Italia chiamarlo indie è fuorviante, perché il nostro indie è una sorta di pop alternativo. Con questo non vogliamo fare i bacchettoni e dire: «Non è vero indie», perché in realtà ci sono anche cose molto fighe nella playlist Indie Italia di Spotify. Però è un termine che forse può portare fuori strada.
Può anche essere che sia perché noi siamo pre-Spotify. Quando abbiamo iniziato non esisteva la cultura della playlist. È incredibile che questo progetto poi sia stato seguito anche sui social. Non c’è alcuna pianificazione, ma i pezzi sono andati forte su TikTok.