– di Roberto Callipari –
Il ritorno di una band cult come i Verdena non poteva che essere accolto nel migliori dei modi da un pubblico adorante che era sette anni che ne attendeva il ritorno sui palchi. Un tour seguito a un disco importante, che segna un nuovo capitolo nella saga di una delle band più importanti nell’alternative italiano, che ora trova spazio anche al cinema con un documentario realizzato dal regista Francesco Fei, che abbiamo incontrato per capire meglio la comunione dei due mondi, cinema e musica, e per capire meglio cosa volesse dire, per lui ma anche per la stessa band, fare un film sui Verdena.
Com’è stato lavorare al film e qual è il tuo rapporto con la band?
I Verdena li conosco dal 1999, perché abbiamo fatto assieme i primi videoclip, ma era dal 2007, quando abbiamo fatto quello di “Angie” che non ci si vedeva, ma è sempre rimasta una grande stima e rispetto reciproco. Così quando Luca Bernini, il manager della band, ha avuto l’idea di provare a raccontarla in una maniera spontanea e che non seguisse alcuna logica commerciale, ha pensato a me, sicuramente a causa del fatto dei nostri trascorsi, ma credo che nella scelta abbia avuto un peso anche il fatto che ora mi occupo prettamente di cinema, soprattutto al documentario con un approccio osservativo, e potevo quindi essere la persona più adatta a raccontare il gruppo.
E ci siamo trovati: ho girato da solo con loro, come faccio normalmente con questo tipo di progetti, occupandomi anche di tutto il comparto tecnico e diventando praticamente invisibile ai loro occhi dopo un certo punto, mettendoli in condizione di potersi aprire nella maniera più libera e spontanea.
Diciamo che abbiamo centrato l’obiettivo, che non era quello di fare una narrazione celebrativa o un biopic, ma semplicemente descrivere un momento nel quale i Verdena tornavano, con un disco nuovo, per suonare sui palchi dopo sette anni dall’ultima volta, girando il documentario in quello spazio di tempo che c’è stato fra luglio 2022, quando hanno cominciato a provare i pezzi, fino a novembre 2022, quando il tour effettivamente è iniziato.
Qual è stata la risposta della band quando si è presa la decisione di avviare il progetto?
Hanno detto subito di sì, ma è stato comunque un percorso a tappe. Non è che sono arrivato da loro e ho detto: «Ora facciamo un film sui Verdena», no, è stato un lavoro graduale nel quale, col tempo, abbiamo capito cosa avremo fatto e cosa avremo proposto.
C’era sicuramente l’idea di avere del materiale da pubblicare, magari online, proprio in vista dell’ultimo album [“Volevo magia” nda], ma c’è voluto del tempo per convincerli che il materiale era buono e poteva essere un’ora piena di racconto della band, tant’è che solo durante le riprese abbiamo preso consapevolezza che il materiale era molto buono e che si poteva andare avanti. Anche perché, conoscendoli, il mio timore era che se gli avessi subito proposto l’idea di un intero film avrebbero potuto tirarsi indietro, mentre ora so e mi hanno detto di aver apprezzato ciò che ne è uscito.
Quando si racconta una band come i Verdena, che nel nostro paese ha una storia e una rilevanza, qual è l’aspetto più difficile da raccontare o quello che non va assolutamente lasciato fuori dalla narrazione?
Mah, guarda, queste domande te le fai se stai lavorando a un prodotto commerciale con delle istanze commerciali, ma nel momento in cui hai fra le mani un lavoro totalmente differente, perché i Verdena sono degli artisti molto lontani da quel mondo lì, tutti questi ragionamenti non si fanno. Era ed è tutto molto più libero, c’era molto di più l’esigenza di raccontarli nella loro normalità, nella loro vita di persone, nelle loro famiglie, senza dire “facciamo vedere questo o quello”, senza riunioni preliminari, solo con la voglia di far vedere come sono realmente.
Non è un lavoro come ne puoi vedere sulle piattaforme, con tempi e logiche rigide, è un film molto umano, dove non avevamo nemmeno dei tempi veri, o dei set: magari dicevo di andare a trovare Roberta e le bambine, o di organizzare una cena, loro erano disponibili e da lì si partiva per mostrarli in tutta la loro umanità, che è la cosa più importante. Secondo me, oggi, è difficile trovare un lavoro così.
Pensi di proporre un lavoro che si rivolge più al fan di lungo corso oppure può anche aiutare chi non conosce i Verdena da avvicinarsi a loro?
È chiaro che i Verdena sono un culto per una platea di fan che li conosce e li riconosce, e sicuramente in questo film gli vorrà bene, ma credo che anche per il non fan sarà interessante, soprattutto perché siamo riusciti a “rendere simpatici” i Verdena, e non perché siano antipatici o delle brute persone, tutto il contrario, ma perché, per chi non li conosce musicalmente, l’approccio può essere difficile, soprattutto quando sotto la superficie c’è molto altro.
Detto ciò, comunque la risposta del pubblico finora è stata molto alta, e non credo che fossero tutti fan, anche perché abbiamo fatto quaranta proiezioni con una media sala molto alta, della quale siamo contenti soprattutto perché in teoria ci rivolgiamo a una nicchia e senza l’appoggio di una piattaforma.
Hai raccontato una dimensione del lavoro, a partire dalle riprese e poi in tutti gli altri aspetti della realizzazione del documentario, che è molto intima e personale, quasi artigianale, dandoci modo di comprendere come, probabilmente, non si sarebbe potuto fare altrimenti, o almeno, non avrebbe avuto il valore che invece ha. Resta comunque il fatto che il film è e sarà sempre di dominio pubblico, e le due anime, intime e popolari al tempo stesso, sembrano difficili da collocare nello stesso spazio, da far coesistere…
Sai, è un problema che non mi pongo nel momento in cui voglio raccontare e lo faccio rifacendomi ad un’etica personale e professionale molto chiara e diretta.
Partendo dal fatto che ci si conosce e c’è stima e rispetto in maniera reciproca, si sa che non si fa nulla per farsi del male, ma è un rapporto paritario, di scambio, quindi non ci saranno mai problemi in questo senso.
Perché fare un documentario sui Verdena proprio oggi e non dieci anni fa o fra dieci anni?
Semplicemente perché questo era il momento giusto.