– di Michela Moramarco –
“Dune” è il nuovo singolo di 24 ore, artista che con questo titolo conferisce al brano una caratteristica sognante già da prima che venga ascoltato. Il brano in questione utilizza appunto lo scenario tipico di un deserto per raccontare alcune dinamiche che avvengono nelle relazioni umane, come se le dune fossero le bugie bianche che spesso ci raccontiamo. Ne abbiamo parlato con l’artista.
“Dune” è il tuo nuovo singolo. Il brano è ritmato e coinvolgente. Come è andato il processo di scrittura? Hai avuto le idee chiare sin da subito sulle linee melodiche?
Il processo di scrittura è partita quando sono andato a marzo a Fuerteventura e guardando le dune e scattando un po’ di foto con Giorgia Zamboni ho avuto subito l’idea di scrivere un brano. Mi ero annotato delle frasi come “la tua pelle sabbia delle dune che vorrei addosso un po’” oppure “ho le dune negli occhi”. Tornato dal viaggio sono andato in studio da Michael Tenisci e ne abbiamo parlato a lungo. Le linee melodiche sono nate abbastanza in maniera spontanea. Solitamente con Michael chiacchieriamo di come stiamo e di quello che ho in mente mentre lui suona e adatta al racconto che faccio, quindi, è sempre il concetto che fa adattare la melodia.
Il tuo nuovo singolo Dune ha toni cantautorali freschi. Quali sono i tuoi ascolti principali ma anche le tue influenze musicali che portano alla creazione di brani originali?
Grazie, davvero! Generalmente sono un ascoltatore abitudinario: se una cosa mi colpisce sto lì ad ascoltarla finché non la consumo e la inizio a sentire mia. In questi giorni sto riascoltando Zero Kills di Night Skinny e il disco di Calcutta. Nel periodo in cui ho scritto ho ascoltato molto Joji, Veleno di Godblesscomputers, Pause di Four Tet, Mecna e tanto Mobrici.
Il tuo nome d’arte fa pensare allo scorrere del tempo. Come mai questa scelta?
Ho sempre avuto inconsciamente la paura che il tempo non bastasse, si è rinforzata nel periodo del liceo con la letteratura e la filosofia e poi è diventata reale, prendendo posto nella coscienza, in quello universitario, la toccavo con mano. Quando ero piccolo non ho mai avuto un diario, ho sempre scritto pensieri su fogli che poi perdevo. Crescendo la paura del tempo si è accompagnata a quella del dimenticare i ricordi e i momenti con le emozioni che li accompagnavano. Il fatto di poter descrivere delle mie giornate tipo che racchiudono una finestra temporale più larga ho capito che mi fa stare bene, trattiene il tempo e mette dei punti di riferimento: calma quella paura e cristallizza ciò che ritengo importante per renderlo un ricordo sempre vivido.
Come credi di riuscire a creare uno spazio nel mercato discografico per il tuo progetto?
Non so se esiste un modo e neanche quale sia: ho vissuto nel mio piccolo un burnout che è iniziato nel trovare a scatti la vena creativa che mi rappresentasse musicalmente, non riuscivo sempre a tradurre i miei pensieri e le emozioni in ciò che avrei voluto. Tutto questo ha trovato, poi, il suo culmine l’estate del 2019 in cui ho suonato tanto. Ero felicissimo perché finalmente avevo avuto modo di esibirmi in più date e di provare a osservare dal vivo la mia reazione e quella degli altri, che era molto positiva. Quando però l’estate era finita in studio era uno strazio e nella mia testa aleggiava sempre l’idea di dovermi superare per forza: la famosa ricerca della hit. Lì mi sono cristallizzato e dopo un lungo periodo sono riuscito a prendere la musica come il mio angolo di paradiso in cui dar vita ai miei pensieri e alle mie voglie condividendo il possibile con più teste e cercando nuove ispirazioni. Per rispondere alla domanda: non credo che io lo stia cercando attivamente, anzi.
Con chi ti piacerebbe collaborare, tra gli artisti emergenti in Italia?
Con tutti coloro che hanno voglia di chiamarmi 3515312924
Quali sono le tue prospettive future?
Coltivare i rapporti umani: voglio continuare a far musica, a incontrare nuove persone che hanno voglia di collaborare per una visione più grande, suonare e bere delle birre ghiacciate con degli sconosciuti.