– di Giacomo Daneluzzo –
Il Teatro Quirino di Roma non è un teatro come tutti gli altri. Costruito nel 1871 in un solo giorno – a differenza della città che lo ospita – e chiamato come l’antico dio protettore della curia (il luogo in cui i Romani si radunavano per discutere le questioni dello Stato), è stato successivamente co-intitolato a Vittorio Gassman, per onorarne la lunga ed eccezionale carriera nel mondo dello spettacolo.
E non è un caso che sia stato scelto proprio il bar interno al teatro, il Comedian Kitchen & Café, per essere sede della conferenza stampa che si è tenuta la mattina di giovedì 12 ottobre per fare il punto della preoccupante situazione in cui versa il mondo dello spettacolo in questa fase storica e discuterne a più voci, soprattutto alla luce di quello che è stato – a buon diritto – definito un «mancato rispetto della delega data al governo dal parlamento». All’evento, organizzato da SLC/CGIL, UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), La Musica Che Gira, ARCI e Forum Arte Spettacolo, sono intervenuti i rappresentanti di diverse realtà che hanno seguito da vicino gli sviluppi della vicenda: Sabina Di Marco (CGIL), David Ghollasi (Coordinamento Discontinuità), Alberto “Bebo” Guidetti (La Musica Che Gira, ma anche membro de Lo Stato Sociale), Manuela Martignano (La Musica Che Gira), Vittoria Puccini (UNITA), Francesco Bolo Rossini (UNITA), Marco Trulli (ARCI).
Ma andiamo con ordine.
Tutto ha inizio, almeno da un punto di vista istituzionale, a luglio del 2022, quando è stata approvata in Parlamento la legge di delega n. 106/2022, che, tra le altre cose, prevedeva l’introduzione della cosiddetta indennità di discontinuità. Con tale espressione – al centro della conferenza stampa – s’intende, in sintesi, un sostegno economico per tutelare i lavoratori dello spettacolo nei periodi di inattività o di studio e formazione. Sostegno che, a nostro avviso, è assolutamente necessario, in particolare con la profonda crisi che ha vissuto e sta ancora vivendo il settore, anche – ma non solo – per via del lunghissimo stop di tutte le attività in relazione alla pandemia di COVID-19, durato più di quello di qualsiasi altro ambito. Ma, anche tralasciando la situazione di crisi, che rende l’introduzione di tale misura particolarmente urgente, introdurre l’indennità di discontinuità significa anche una forma di considerazione del mondo della musica e dello spettacolo, troppo spesso associato più allo svago e al tempo libero che alla professione; sono in molti, oggi, ad auspicare che le istituzioni adottino un atteggiamento diverso nei confronti di un settore che non solo ha una storia e una tradizione lunghe e autorevoli, ma anche un considerevole indotto economico.
Questa legge delega, frutto di due anni di dialogo e confronto tra le istituzioni e il mondo dello spettacolo, rappresentato da associazioni e organizzazioni sindacali, mirava a creare uno strumento universale di tutela previdenziale, specifica e dedicata al settore per riconoscere quelle “pause” che intercorrono tra un contratto di lavoro e l’altro, che sono parti integranti ed essenziali del lavoro dei professionisti del settore. Per com’era stata originariamente formulata, tale misura sarebbe stata accessibile a tutti i lavoratori iscritti al FPLS (Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo, ex ENPALS), ossia circa 350mila persone, secondo l’INPS. Sempre secondo questa formulazione l’indennità è calcolata sulla media delle retribuzioni percepite nei 24 mesi precedenti la domanda, con un incremento proporzionale alle giornate lavorate (dall’80% delle retribuzioni medie con 51 giornate di versamenti all’85% con 80 o più giornate di versamenti). A quest’indennità si aggiunge la copertura contributiva, ai fini del raggiungimento dei requisiti richiesti per il diritto alla pensione, per tutte le giornate corrispondenti all’erogazione (il numero massimo di giornate accreditabili nel FPLS è 312, comprese le giornate di indennità di discontinuità).
Eppure.
Nella proposta di legge, presentata da Orfini e Verducci (rispettivamente deputato e senatore del PD), c’era una descrizione precisa dell’indennità di discontinuità in questi termini, che era il risultato di un forte confronto con le associazioni e i lavoratori. Eppure, nonostante i termini di questa misura fossero molto chiari, sembra che attualmente la direzione politica impressa all’indennità di discontinuità sia completamente diversa: una sorta di “bonus“, erogato solo su domanda e una volta l’anno, che (secondo le dichiarazioni del governo) ammonterebbe a circa 1500 euro lordi annui. Una sorta di sostegno al reddito, una misura quindi non strutturale. E ad accedervi sarebbero lavoratori con un reddito non superiore a 25mila euro l’anno e 60 giornate di contribuzione accreditata nel FPLS nell’anno precedente: si stima, quindi, che sarebbero tra le 20mila e le 25mila persone (contro le circa 350mila che avrebbero potuto accedervi secondo il progetto originale).
Inoltre in questa “nuova versione”, arrivata alle associazioni, l’indennità di discontinuità è riconosciuta per un terzo delle giornate accreditate nel FPLS (quindi, lavorando per 60 giornate, il minimo per poter fare domanda, si hanno 20 giornate di indennità e di contributi accreditati).
Insomma, un disastro. Per vari motivi.
L’indennità di discontinuità è, ancora prima che un aiuto imprescindibile per molti, un riconoscimento della professionalità dell’insieme eterogeneo di chi lavora nel mondo dello spettacolo; e la ricerca di questo riconoscimento è una storia che inizia molto prima del COVID. Alla conferenza stampa indetta dalle associazioni si fa notare che la discontinuità era già stata presentata e approvata, «sembrava cosa fatta», vi erano stati destinati dei soldi – è stato ricordato che le cifre stanziate sono di 100 milioni, a cui se ne aggiungono altri 46.
Insomma, l’iter di questa misura, tanto necessaria, sembrava andare verso il proprio compimento, ma alla fine ne è risultato qualcosa che ha un significato molto diverso rispetto a quanto atteso. Ciò che serve adesso è, da parte delle istituzioni, «la volontà di ascoltare veramente la voce dei lavoratori, le loro esigenze e necessità».
Sono due le cose su cui tutti sembrano concordare: in primis la richiesta comune di riconoscimento della professione, per essere nella posizione di fare il proprio lavoro al meglio e, in un’ottica di produttività, aumentare la qualità di ciò che il settore dello spettacolo produce; in secondo luogo la necessità di «fare tabula rasa», di ripartire da capo con i confronti sull’indennità. Quanto stabilito è da ripensare completamente, per arrivare agli obiettivi comuni dei lavoratori del mondo dello spettacolo, usando i soldi stanziati per una riforma strutturale e permanente, come peraltro era già stato stabilito, ma attraverso parametri accettabili. «La miglior soluzione è ritirare questa proposta e riscriverla. Abbiamo ancora qualche altro mese per elaborare una nuova misura». È qui che entrano in gioco le associazioni, che hanno il compito di rappresentare i lavoratori nel dialogo con le istituzioni.
A questo proposito, si è anche fatto notare che, in questo momento storico, ci sia una ritrovata unità all’interno del mondo dello spettacolo, un sentimento di appartenenza al settore, trasversale alle professioni, che ne rappresenta il maggior punto di forza. Negli ultimi anni sembra essere nata una nuova consapevolezza, uno strumento nuovo e utile per portare avanti le istanze del settore dello spettacolo. «Fino a questo momento non c’era una percezione così esatta di che cos’è il lavoratore dello spettacolo»; «Nel nostro Paese c’era una frammentazione che adesso non c’è più. Questo è importante per il settore, ma anche per i governi, al di là dello schieramento politico, perché ora è possibile tendere la mano ai lavoratori e sostenere un settore che per molto tempo è stato regolamentato da leggi vecchie».
In virtù di questo senso di unità del mondo dello spettacolo diventa una prospettiva realistica quella di «costruire una risposta netta, forte e compatta», confrontandosi e facendo un’operazione di sintesi e «spingere nella stessa direzione».
Al Teatro Quirino, quindi, sono state discusse importanti questioni pubbliche, in linea con nome che porta. E, alla fine di questo momento di confronto, sembra chiaro che sia comprensibilmente diffuso un sentimento di preoccupazione tutt’altro che nuovo, ma che non si limita allo sconforto: infatti a prevalere è un nuovo sentimento di unità e forza, che resta la cifra di questo settore anche in un momento come questo, caratterizzato dalla delusione prodotta da questo decreto legislativo. Ed è per questo che il mondo della musica e dello spettacolo sta facendo e continuerà sicuramente a fare un ottimo lavoro nell’esigere una tutela per i suoi lavoratori, che ora più che mai è una misura di enorme rilievo.