– di Martina Rossato –
Grandissimi artisti sono passati da San Siro e quando, anni fa, ho cominciato ad ascoltare i Pinguini Tattici Nucleari non avrei mai immaginato che un giorno avrei sentito suonare proprio loro su quel palco.
Eppure, quando i PTN hanno annunciato la prima data del tour, quella di San Siro dell’11 luglio, i biglietti sono andati sold out a una velocità incredibile. E poi, pian piano, si sono aggiunte sempre più date, fino ad arrivare alle undici complessive del tour negli stadi organizzato da Magellano Concerti e anticipato da tre appuntamenti internazionali a Lake Placid (New York) per le Universiadi a gennaio, al The London Palladium (Londra) il 10 aprile e in Islanda a maggio per SiVola Fest.
Ma come dobbiamo prendere la notizia di tutti questi sold out negli stadi?
Come ha spiegato Riccardo Zanotti in conferenza stampa, ci sono due modi per concepire un tour negli stadi così di successo per un gruppo come i Pinguini Tattici Nucleari:
«Il primo è pensare che la tradizione ci schiaccerà. Come faremo a reggere il confronto con i grandi della musica? Ma sentirsi schiacciati significa sbagliare in partenza.
Il secondo modo, che è quello in cui ci rispecchiamo, è il non pensare di stare sopra quel palco, ma pensare al macigno che ci sta sotto. Noi non siamo altro che nani sulle spalle dei giganti».
È così che i Pinguini non suonano sul palco di San Siro ponendosi come grandi statue, ma come visitatori. In quest’ottica, riuscire a mantenere il rapporto raccolto e intimo con il pubblico, anche davanti a 60mila persone diventa fondamentale.
In primis, quindi, cercano – come hanno dichiarato prima dei live di 11 e 12 luglio – di prevedere le reazioni delle persone, offrendo uno show denso e una scaletta composta da canzoni prese da tutti gli album, che possa ben adattarsi alle esigenze di chi li ascolta da sempre come di chi li ha appena scoperti.
Per essere ancora più vicini a chi sta sotto al palco hanno introdotto una novità: durante lo spettacolo un tatuatore sul palco disegna uno stencil (a tema PTN, ovviamente) a chi tra i presenti è abbastanza coraggioso da offrirsi volontario. Questo serve a fingere di star suonando ancora in una cantina, con davanti un centinaio di persone in un clima di intimità.
Il modello di spettacolo a cui tendono è quello dei Coldplay: uno show a tutto tondo, fatto per essere vissuto e ricco di sorprese. Per più di due ore – posso confermare – la loro musica intrattiene i fan a San Siro che, nonostante la pioggia, continuano a ballare al ritmo dei loro pezzi. Non c’è un momento in cui il palco rimanga statico.
«Le band con un solo frontman sono destinate a scomparire, oggi pensiamo sia importante dare voce a tutti i membri del gruppo. Durante lo show ci scambiamo, non canta solo Riccardo ma ognuno di noi ha un ruolo centrale».
Il gruppo porta sul palco anche le proprie vite personali, in particolare in “Ricordi”, durante la quale scorrono sullo sfondo le immagini che chi li conosce da sempre sa ben distinguere: ci sono le loro passioni, i loro inside jokes, le loro esperienze e le speranze. Desiderosi di empatia da e per il pubblico, verso la fine del live i sei si riuniscono attorno ad un tavolo, come se fossero in un localino di Bergamo, e cantano da lì.
Durante il live il rapporto tra realtà e finzione gioca un ruolo importantissimo. A partire dai costumi di scena (disegnati da Polimoda Firenze), passando per la tavola attorno alla quale si riuniscono, tutto è studiato per farci sentire a casa. Il pubblico non si sente mai distaccato, ma in continua comunicazione con ciò che accade sul palco.