– di Lucia Tamburello –
Il rapper e cantautore Geremia, padovano di nascita e milanese d’adozione, racconta il suo nuovo EP “ANIME E DIAMANTI” frutto di un brusco passaggio personale da un periodo emotivamente positivo ad un altro estraniante, dai “DIAMANTI” alla “PALUDE”. A distanza di pochi mesi dalla pubblicazione dei suoi primi due EP “SENSIBILE” e “DA UNA BOLLA”, l’artista ci racconta la genesi di un progetto solistico, ma di cui bisogna parlare necessariamente al plurale: sono gli amici artisti incontrati nel capoluogo lombardo ad indirizzare Geremia verso sensazioni e suoni sempre diversi.
Facciamo un attimo un’introduzione: chi è Geremia? Come e quando hai iniziato a scrivere?
Il progetto Geremia è nato musicalmente l’anno scorso, nel 2022, quando ho pubblicato le prime cose con questo nome. Avevo già pubblicato con altri nomi, con progetti molto più amatoriali intorno al 2017/2018. Sono circa cinque/sei anni che scrivo con l’ottica di fare delle canzoni, già quando ero più piccolo scrivevo per conto mio. Io sono di Padova ed ho iniziato a fare musica lì, ho avuto vari nome d’arte, però è stato quando sono venuto a Milano, a settembre 2021, che è partito il progetto in maniera più concreta. È qui a Milano che ho trovato tutte le persone con cui lavoro, con cui faccio musica, con cui collaboro. Sono in primis i miei amici che mi stanno permettendo di fare le cose in maniera un po’ più professionale, anche se sono ancora indipendente dal punto di vista editoriale
Com’è Milano dal punto di vista creativo?
Florida. Ci sono moltissime persone che vengono qua da altre città, come me, con l’idea di fare musica o comunque di fare arte in generale. È una città piena di creativi. C’è molto scambio di idee, però, allo stesso tempo, essendo in tanti, c’è una sorta di competizione, anche in senso sano chiaramente. È adesso, dopo il primo anno in cui ho iniziato a conoscere vari artisti in giro, che ho trovato i miei amici, le persone con cui mi trovo meglio e tendiamo a fare le cose tra di noi perché ci siamo trovati bene. Abbiamo questo scambio di idee, di influenze, abbiamo questa sorta di collettivo che non è ufficiale, ma ci sono tanti altri artisti che fanno musica e con cui collaboriamo spesso, ci diamo consigli, ci diamo una mano. Quindi posso dire che Milano da questo punto di vista mi ha aiutato molto perché mi ha permesso di confrontarmi con realtà che prima non conoscevo. Dall’altro lato, però, ha degli spetti negativi perché è una città molto caotica. Magari le persone vengono qui anche con l’idea di ottenere un certo tipo di successo e a volte si rischia di venire anche un po’ schiacciati da questa cosa e di perdere un po’ il focus sulla musica, di concentrarsi di più su quello che c’è intorno alla musica che magari dovrebbe venire dopo.
Ti senti di far parte di una scena milanese?
Attualmente sì, almeno in parte. Con dei ragazzi, come Juck, con cui ho lavorato all’EP, Emma, Luchino Luce, Mantis, Buio, crediamo di aver creato un piccolo movimento. Alcuni di loro producono, quindi anche tramite i dj set siamo riusciti a partecipare a più serate qui a Milano. Ci muoviamo sempre in gruppo. Ad esempio, Luchino Luce ha fatto delle date a Roma e a Napoli, e siamo andati tutti insieme e abbiamo fatto dei pezzi insieme. Cerchiamo di portare un’idea comune.
Dall’esterno si percepisce questa cosa, confermo
Mi fa piacere, ce lo dicono spesso che si vede questo affiatamento di gruppo. È da settembre che cerchiamo di rendere un po’ più ufficiale questa cosa, abbiamo un po’ di progetti in ballo. Dobbiamo ancora capire in che direzione, ma vogliamo spingere su questa idea di gruppo.
In un post hai raccontato il “passaggio emotivo” da una fase positiva ad una di down che ti ha portato a scrivere “ANIME E DIAMANTI”; il tuo processo creativo è cambiato durante queste due fasi?
“ANIME E DIAMANTI”, come si può percepire, ha una scrittura molto allegorica, non è sempre immediato quello che voglio dire. Questo è dovuto al fatto che in quel momento, quando scrivevo questi brani, ero molto dentro a dei miei “trip”. Avevo delle mie idee anche se, sia a livello creativo che a livello umano, vivevo le cose un po’ in terza persona, come se fossi il personaggio di me stesso. Questa cosa mi ha portato a scrivere in maniera simbolica. “ANIME E DIAMANTI” non lo reputo un lavoro cupo. L’unico brano che è più oscuro forse è “PALUDE”. È un lavoro luminoso, tramite la musica ho sempre cercato di trovare la serenità. Mentre scrivevo cercavo di creare dei brani che portassero della positività, della speranza, un sentimento che ha caratterizzato anche il lavoro precedente, “DA UNA BOLLA”. La speranza, grazie a tutte le persone che ho intorno, è sempre rimasta intorno a quello che stavo creando, non mi sono mai abbattuto completamente. In questo EP c’è un po’ un contrasto: è una scrittura un po’ ermetica, ma l’atmosfera cerca di essere sempre positiva, luminosa. Era proprio quello che volevo creare.
“PALUDE” e “PETROLIO” mi sono apparsi come due brani collegati; parli della stessa condizione?
Sono nati a distanza di molto tempo tra di loro. “PETROLIO” l’ho scritta circa ad ottobre/novembre dell’anno scorso, mentre “PALUDE” l’ho scritta a febbraio. Nella prima non ero ancora consapevole della condizione in cui mi trovavo, magari ne parlavo, ma non mi ero ancora reso conto. Mentre nella seconda avevo proprio preso consapevolezza, è stato proprio il momento finale in cui ho preso coscienza. Ne ho voluto parlare in una canzone proprio per questo motivo: è stata un po’ la fase finale in cui sono riuscito ad uscire da questa condizione. Quindi sì, direi che parlano della stessa cosa, ma con due prospettive diverse.
Rispetto a “DA UNA BOLLA” e “SENSIBILE” ti sei allontanato dalla trap e dal pop tradizionale per avvicinarti un po’ più al cantautorato e all’industrial. È stato un cambiamento voluto, data la poca distanza temporale tra le uscite, o è stato qualcosa di imprevisto?
È stato un po’ voluto soprattutto per la componente industrial o elettronica che c’è in questo disco: sono circondato da persone che hanno a che fare con quei generi e quindi ho voluto implementarli nel disco. La parte cantautorale è venuta fuori inaspettatamente. Quando ho iniziato tanti anni fa, ho iniziato con il rap, venivo da un altro tipo di scrittura. Stando qui a Milano e confrontandomi con altre realtà, ho scoperto un nuovo lato di me. È stata più una scoperta che una scelta. Adesso la mia idea è quella di fare un po’ la somma di questi lavori, trovare le cose che sento più mie. È servito molto ad esplorarmi, a conoscermi, a tirare un po’ le somme e capire in quale direzione voglio andare definitivamente, dopo aver sperimentato cose diverse.
Questo tipo di influenza c’è anche dal punto di vista tematico? Nel post sopraccitato hai raccontato di come tu abbia empatizzato con i tuoi amici che stavano vivendo delle storie d’amore un po’ turbate; quanto influiscono le vite degli altri sulla tua scrittura?
A parte il fatto che vivo insieme a Juck e Luchino da inizio marzo, ma con tutti gli altri ci vediamo quasi tutti i giorni, condividiamo tutto e viviamo come una famiglia. Quello che succede a uno alla fine influenza un po’ tutti. Siamo molto empatici tra di noi e, quando qualcuno ha qualcosa che non va, viene subito fuori. Spesso un periodo negativo non è mai di una persona sola, ma di più persone, così come quelli positivi. Adesso sto cercando di trovare una dimensione più mia, riuscire ad estraniarmi un po’ da questo contesto per ritrovare delle cose più intime, personali mie che, vivendo in una maniera più collettiva, rischi di andare a perdere. Sto cercando di riconciliarmi con il me stesso pre-Miliano.
Ai tuoi live che tipo di pubblico c’è?
Per adesso i live non sono mai stati eventi solo miei, spesso suonano anche gli altri o artisti esterni. Dipende dal tipo di serata che viene organizzata. Sono sempre stati in contesti un po’ underground che non si adattano troppo bene alla mia musica che è orientata molto all’ascolto più che ad un live in cui la gente balla, anche se è sempre molto energica. Per la prossima stagione l’idea sarebbe quella di riuscire a suonare in contesti che si adattano meglio al tipo di musica che voglio fare, in cui c’è un pubblico predisposto all’ascolto.
Questo estraniamento dall’industria discografica è una cosa che tu ricerchi oppure è dettato dal mondo esterno?
Non è una condizione che ho mai ricercato. La mia idea è quella di aprirmi al pubblico più ampio, riuscire a crescere e potermi esprimere in contesti anche al di fuori dell’underground. In questo anno e mezzo, rapportarmi con questo tipo di realtà, mi ha fatto crescere tantissimo, mi ha fatto mettere in gioco; però, adesso, sento che è il momento di provare a rapportarmi con un ambiente discografico. Comunque lo pensiamo tutti, non vogliamo andare per forza contro, non siamo anti-sistema, nonostante stiamo cercando di portare qualcosa di diverso. Vogliamo cercare un dialogo con un certo tipo di struttura.