– di Roberto Callipari –
È uscito il 2 giugno per Sugar il nuovo singolo di Motta, “La musica è finita”, brano che segue “Anime perse”, pubblicato a maggio e che, assieme a quest’ultimo, farà parte della tracklist del nuovo album dell’artista toscano, la cui uscita è prevista in autunno.
Al singolo segue anche l’uscita di un videoclip decisamente intenso e ponderato, che vede la partecipazione di attori di grande caratura come Carolina Crescentini e Vinicio Marchioni.
Con “La musica è finita”, Motta gira su dei suoni che sanno variare e ballare fra l’elettronica e il rock, fra il cantautorato e il blues, in una maniera tale da proiettarlo violentemente nelle cuffie rendendone molto difficile l’uscita. Il silenzio dopo il brano è pesantissimo, il vagare della mente dopo il testo del cantautore livornese è quasi debilitante, al punto da richiedere più e più ascolti per poter giovare appieno della penna dell’autore vincitore del Premio Tenco.
Credo di poter dire, magari forzando un po’ la mano – ma magari qualcuno la penserà come me – che di un Motta così incazzato un po’ avevamo bisogno. Perché ciò che ha fatto e raccontato finora, la delicatezza di “Semplice”, album del 2021, ma ancora di più quella di “Vivere o morire”, rilasciato nel 2018, è stata sicuramente apprezzata, ma ormai abbastanza lontana nel tempo e nello spazio della mente di chi non ha scordato l’esordio di questo artista, che ora sembra aver raggiunto una nuova esigenza ed esperienza narrativa, magari più disillusa, magari anche cinica, ma che sicuramente si sposa meglio con un’attualità tutt’altro che dolce o semplice. Perché è nella dignità di certa musica che alcuni contenuti possono trovare il loro posto, anche se scomodi, anche se apparentemente incomprensibili, è qua che il cantautore deve far sentire il peso della propria coscienza, analizzare e distruggere, perché la musica non sia solo (e mai potrà essere “solo”) divertissement, ma anche veicolo di qualcosa che vada oltre il mero intrattenimento.
Ecco allora che, se la musica finisce, bisogna capire perché, dove la musica è metafora di vita, di idee, di speranza, ma anche di possibilità e umanità che spesso non vediamo o ci gettiamo alle spalle nell’impeto di qualcosa che umano non è.
Arriva così un testo che è una coltellata, un pugno dritto alla bocca dello stomaco, quasi un flusso di coscienza che spezza e destruttura i nostri giorni e ci lascia con un bel po’ di niente da cui ripartire, o almeno con molte cose da riconsiderare, nello spazio e nella dimensione di quelli che sono i nostri reali interessi e le nostre influenze maggiori in questo “viaggio assurdo” fatto di “specchi allucinati” e “cene con il Diavolo”.
E l’arrangiamento non è meno interessante: La musica è finita vede infatti l’ausilio delle sapienti mani di Tommaso Colliva, decisamente uno tra i produttori più interessanti del nostro panorama musicale, nonché vincitore di un Grammy, che porta Motta in una dimensione elettronica fortemente blues, in cui riecheggia sicuramente l’influenza di una band come i The Black Keys, che in questi intrecci si è più volte divertita a trovare nuove soluzioni. E proprio in questo giocare coi suoni, coi tempi e coi giri, Motta porta il brano in una dimensione nuova, scrollandosi di dosso (almeno per il momento) qualche cliché da cantautore, tutto chitarra e voce, tutto (molto) italiano, grazie anche a una produzione e dei suoni dal sapore internazionale.
Va comunque evidenziato che questo singolo continua qualcosa che l’autore de “La fine dei vent’anni” aveva già iniziato col precedente singolo, “Anime perse”, tanto nel suono quanto nelle tematiche, portando sempre in primo piano le questioni attorno alla solitudine, all’abbandono, a ciò che lentamente logora, in una maniera considerata quasi normale e socialmente accettata, come se dovessimo accettare ciò che ci si pone davanti, giusto o sbagliato che sia, in maniera quasi passiva, perché tanto questo è e sempre sarà.
Ora che la via sembra tracciata, l’interesse per l’album che sarà “La musica è finita” è decisamente alto, con la promessa di un tour che valorizzi al meglio il patrimonio sonoro che porta con sé tanto il disco quanto l’artista, con Motta che comunque, da sempre, sa cosa ci vuole per mettere su un live appassionante, che conosce bene il valore e la chimica della musica suonata dal vivo. E quello che si prospetta all’orizzonte non è per niente male.